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Fruitvale Station. Il razzismo che uccide i sogni
Una vita spezzata un attimo prima di tornare a casa, sulla via di un cambiamento reso difficile da un contesto difficile. Il racconto delle ultime ore di un giovane ucciso dallo strapotere della polizia e dal razzismo strisciante nella società americana. Vincitore del Premio della giuria e del Premio del pubblico al Sundance Film Festival 2013, il 13 marzo esce nelle sale italiane il film Prossima fermata – Fruitvale Station, tratto da una storia vera, scritto e diretto da Ryan Coogler, prodotto da Forest Whitaker e interpretato da Michael B. Jordan, Melonie Diaz e Octavia Spencer. Un racconto fedele alla realtà della vicenda e alla realtà del contesto sociale che denuncia, ma che non riesce quasi mai a innalzare il realismo a metafora universale.
La storia è quella vera di Oscar Grant (Michael B. Jordan), ventiduenne ucciso con un colpo di pistola da un agente di polizia sulla banchina della metropolitana di Fruitvale Station, nella Bay Area. Un omicidio ripreso con videocamere e telefonini da numerosi testimoni, e che in poche ore, nella mattina del 1 gennaio 2009, ha fatto il giro nel mondo. Le immagini vere dell'arresto e dell'uccisione di Oscar aprono il film, per poi lasciar spazio alla narrazione delle sue ultime 24 ore. Fra litigi e riavvicinamenti con la compagna Sophina (Melonie Diaz), tentativi di recuperare il lavoro e preparativi per la festa di compleanno della madre, Wanda (Octavia Spencer), la giornata di Oscar sembra riempirsi di segnali che lo spingono a cambiar vita. Non ultimo la morte di un cane investito da un pirata della strada proprio sotto i suoi occhi. Ma quando Oscar deciderà di voltare pagina per sempre, il destino lo attenderà a Fruitvale Station.
L'essere basato su una storia vera, è la forza e la debolezza di Prossima fermata – Fruitvale Station. Ne è la forza in quanto trasuda verità e poiché attualizza una vicenda che ha lasciato una profonda ferita nell'opinione pubblica americana. Ne è la debolezza perché la fedeltà ai fatti sembra porre dei vincoli che limitano lo sviluppo tematico del racconto. Il risultato è un film capace di dosare in maniera ammirevole i sentimenti, senza violare la giusta distanza dai personaggi. Ma fallace nel suo tentativo di far assurgere la vicenda di Oscar Grant oltre lo statuto di dolorosa testimonianza di un'allarmante situazione sociale verso quello di metafora universale del concetto di discriminazione razziale. Fra luci (l'ottima direzione di attori) e ombre (la scelta non sempre azzeccata di momenti significativi degli ultimi istanti di vita di Oscar), a Ryan Coogler - regista giovanissimo e senz'altro promettente - va riconosciuto il merito di aver raccontato una realtà col cuore di chi l'ha vissuta in prima persona e ne conosce a fondo le crepe sociali e le ingiustizie da cui è quotidianamente segnata.