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Georgia O'Keeffe alla Fondazione Roma. Spregiudicata verecondia dell'arte
Una mostra su una musa ed una pittrice del Novecento: Georgia O'Keeffe (1887-1986) balugina coi suoi fiori, le sue tele astratte, i suoi paesaggi dal New Mexico, insieme alle foto di lei fatte dal suo mentore e marito Alfred Stieglitz, l'inizatore della fotografia pittorialista del '900, ovvero la foto d'arte. A cura di Barbara Buhler Lynes, la mostra dedicata all'americana che ha aperto la strada alla celebrità al “femminile” nell'arte, vi accompagna tra le vedute della sua stanza-laboratorio ricostruita in fondo all'esposizione di Palazzo Cipolla della Fondazione Roma fino al 22 gennaio 2012.
Nel 1916 il primo incontro importante per Georgia O'Keeffe si materializza nella Fifth Avenue al numero 291 di New York: senza che lei lo sappia, il più grande e famoso fotografo del secolo scorso, Alfred Stieglitz (1864-1946), le ha organizzato una mostra negli spazi della sua galleria chiamata 291, dopo aver visionato ed essersi innamorato dei suoi disegni. La carriera di Georgia O'Keeffe ha inizio così e procede via lettera: una intensa corrispondenza, la guida di lui verso altre prospettive pittoriche, come appunto la riproduzione ravvicinata, ossia “fotografica”, dei fiori a Charlottesville in Virginia, dove viveva con la famiglia, che prenderanno vita nei dipinti degli anni '20: nelle vellutate Petunie n.2 e nelle Calle, entrambe del 1924.
Per quanto si voglia dare ragione a O'Keeffe per essersi guadagnata una propria critica d'arte che la mettesse al riparo dalle interpretazioni sessuali dei suoi fiori quanto dei suoi quadri astratti, è innegabile l'eroticità e la sensualità che essi promanano, e forse quel che in fondo dava più fastidio a O'Keeffe è che fossero in fondo giudicate con criteri “sessuali” e sessisti che non le mettevano nella giusta luce, ovvero quell'intenso erotismo e spregiudicatezza che effonde tutta la sua vita, prima e dopo Stieglitz.
La personalità di O'Keeffe è infatti caratterizzata da un innegabile anticonformismo che la lega a Stieglitz non solo in una relazione appassionata al di fuori del matrimonio che lui stesso volle concretizzare nel 1924, ma soprattutto per un'intensità di vita, una verecondia che la allontanò anche da lui quando s'accorse che le loro anime non comunicavano più (cfr. il carteggio S. Greenough, My Faraway One: Selected Letters of Georgia O’Keeffe and Alfred Stieglitz, 1915-1933, Volume One, Yale University Press, New Haven 2011; in particolare: O’Keeffe a Stieglitz, 11 luglio 1929, My Faraway One, p. 472).
A quel punto entrambi si legano, lei superficialmente e per brevi periodi a due diversi amanti, il medico Gustav Eckstein prima nella tenuta in New Mexico e poi, nel 1933, allo scrittore afroamericano Jean Toomer. Ma è Stieglitz che fa più sul serio e con Dorothy Norman, fotografa anche lei, apre un sodalizio che vira nel campo della professione, affidandole spazi nell'ultima sua galleria, An American Place nella sua New York.
Dopo la morte di Stieglitz nel 1946, la O'Keeffe non solo comincerà strenuamente a viaggiare ma a stabilirsi ad Abiquiu (seconda casa che compra nel deserto dopo Ghost Ranch) che compra l'anno prima, e che reputò il suo luogo ideale sovvenendo nelle vedute di quei paesaggi già con Stieglitz in vita e ritratte negli anni trenta - delle colline nel deserto, nei suoi teschi dei Giorni d'estate (Summer Days, 1936) e che si riassumono in una fotografia intensa di Albert Newman del 1968: Georgia O'Keeffe a Ghost Ranch. La caparbietà, la determinazione, la vivacità insita in questo ritratto che la delinea nella sua fortezza mentale e spirituale, ne rendono un omaggio sincero nella sua vera nudità, soltanto artistica, e unanimemente significativa.