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Il giovane Marx. "Non c'è felicità senza rivolta"
Esce il 5 aprile, poco dopo Pasqua, forse per ottemperanza al rito che vuole il comunista duro e puro ateo e contro ogni religione: a rimarcare quello che fecero i bolscevichi alle chiese russe, una distruzione totale che ha risparmiato (sic!) ben poco. Ma questi de Il giovane Marx sono altri tempi e sì, lui è ateo ma anche ebreo, una contraddizione in termini che però regge perfettamente dentro e fuori dal film, attraverso l'attore tedesco August Diehl, doverosamente riccioluto e affiancato da un affascinante e biondo Friedrich Engels interpretato da Stefan Konarske, attore tedesco di teatro vissuto a Parigi anche nella vita reale. Insieme a loro due c'è Vicky Krieps, longilinea figura di attrice che ha perfettamente interpretato Jenny, la moglie di Marx, e passata agli allori del cinema come la musa del couturier Reynolds Woodock, ovvero Daniel Day-Lewis, nell'ultimo suo film Il filo nascosto.
A tirare le fila di questa pellicola è il regista haitiano Raoul Peck, ex ministro della cultura dell'isola, premiato per il suo impegno per i diritti umani, e che ha costruito un film con un profilo documentaristico, in quanto risale ai primi incontri tra Marx ed Engels nel 1842 nella redazione della Gazzetta Renana e poi in quel di Parigi, dove effettivamente si formò il nucleo in nuce del loro sodalizio.
Arriveranno fino alla Lega dei Giusti, dove si assemblano i primi fermenti rivoluzionari proletari e dove faranno breccia con il discorso di Engels, trasformando la lega in Lega dei Comunisti: ai prodromi dei moti anarchico-rivoluzionari di Dresda del '48, ai quali parteciò anche Wagner – che si salvò solo in quanto compositore -, il primo e stabile comitato comunista ha preso piede e le forze utopistico-anarchiche da Weitling a Bakunin a Proudhon, sono messe da parte in favore di un'organizzazione strutturata, che parte da un'analisi critica della società per giungere al famoso motto: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!” Le stesse parole che chiudevano il Manifesto del Partito Comunista che stava lì lì per nascere dalla corrispondenza e dalla collaborazione attiva tra Marx ed Engels. Il febbraio del 1848, data storica e politica della pubblicazione, fa un tutt'uno con il manifesto che dal 1870 in poi diverrà il capostipite dell'Internazionale Comunista prima del Capitale.
Un film ben curato e ben interpretato, che traccia con sufficiente accuratezza un percorso guidato da un interesse comune per le condizioni della classe operaia – composta soprattutto da bambini perchè costavano meno, che ben racconta Dickens nei suoi romanzi, da Bleak House a Oliver Twist – e l'impegno di entrambi questi agiati intellettuali che, per Marx, si traduce in esilio e divieto di pubblicare i suoi scritti. Prima viene cacciato da Parigi su ordine del governo prussiano, poi dal Belgio: dal 1849 Marx si stabilirà a Londra, condividendo con Wagner, l'altro pensatore rivoluzionario dell'epoca (e non solo in musica come Nietzsche ha ben afferrato), l'anno della sua morte, il 1883. Engels, anche lui trasferitosi a Londra ma nel 1870, aveva cominciato in Inghilterra, a Manchester, scrivendo e pubblicando nel 1845, La situazione della classe operaia in Inghilterra, accorgendosi della disastrosa situazione operaia nella fabbrica del padre: il germe era nato qualche anno prima ma i documenti, le esperienze dal vivo e i racconti degli operai lo portarono ad associarsi a Marx per una strategia comune basata sul materialismo, un'approfondita analisi scientifica delle strutture e sovrastrutture sociali ed economiche.
Bravi gli attori tutti, compresa Hannah Steele nella parte della fiancée inglese di Engels; August Diehl sarà presto il protagonista del nuovo film di Terrence Malick, Radegund, sull'obiettore di coscienza austriaco Franz Jägerstätter, condannato a morte per questo dai nazisti.