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Greenaway ed il cinepugno di Eisenstein
Teodora film, coraggiosa e curiosa come sempre, distribuisce in Italia (esce in sala il 4 giugno 2015) l'ultimo, pirotecnico film di Peter Greenaway, che dopo pittori, architetti e scrittori, stavolta si cimenta con Eisenstein, il regista dei registi. Eisenstein in Messico, titolo originale Eisenstein in Guanajuato, presentato all'ultimo festival di Berlino, è un ambizioso omaggio al maestro russo, interpretato dall'attore finnico Elmer Bäck.
Greenaway, ammiratore profondo del cinema e dei testi di Eisenstein, mette in scena il suo corpo e le sue molte parole, facendolo interagire con un uomo dall'aspetto e dal portamento totalmente opposti, tratteggiando un personaggio pieno di curiosità e di insicurezze, dalla fisicità marcata e ancora non esplorata.
Durante il suo viaggio in Messico nel 1931, per girare l'incompiuto Que viva Mexico, trascorre un periodo nella cittadina di Guanajuato, mentre Stalin lo reclama in patria. Gli fa da guida Palomino Cañedo (Luis Alberti), professore di religioni comparate, che lo accompagna nella scoperta di una terra piena di vita e di sensualità, dove si percepisce forte anche il senso della morte nelle feste popolari, nei rituali e nello stile di vita. I due uomini intrecciano una relazione intellettuale e fisica, Greenaway la rappresenta senza alcun pudore, anzi, con un pizzico di compiacimento accosta il corpo chiaro e molle del regista russo con quello bruno e statuario di Palomino.
Mostrando l'innocenza dello sguardo e l'inesperienza sessuale di Eisenstein, in quella terra di vita, sesso e morte, Greenaway mette in scena la passione per il grande regista, sperimentando la sua idea di cinema e di montaggio, in un gioco minuzioso e scientifico, che talvolta si dilunga in un manierismo un po' fine a se stesso. Si vedano i reiterati split screen, dove immagini, suoni e parole si fanno eco, quasi a spiegarci il senso, risultando a tratti didascalici.
Altre volte, invece, immagini di repertorio, prelevate dalla montagna di ore che Eisenstein ha girato e mai montato, si accostano alle nuove, progressivamente decolorate, degli stessi luoghi, mostrandocene la bellezza e l'attualità.
Greenaway dichiara che il cinema è morto e deplora i film concepiti come “letteratura illustrata”. Eppure la vitalità di questo e altri suoi film tradiscono un entusiasmo sempre vivo per le potenzialità di questo linguaggio. Il suo Eisenstein parla moltissimo, sproloquia addirittura, attorno a qualsiasi argomento, inseguendo un gusto dell'effimero che nelle sue opere più riuscite costituisce una cifra espressiva riconoscibile, talvolta risulta un po' vuoto e noioso.
In ogni caso lo distingue dal cinema del maestro russo, che nell'immagine e nel montaggio ha sempre ricercato la dialettica rivoluzionaria, sia nelle opere precedenti il viaggio in America - più esplicitamente ispirate alla Rivoluzione Russa - sia in quelle successive, nelle quali si esplicita maggiormente la ricerca del mezzo espressivo.
Il cinema di Eisenstein è un cinema potente, un cinepugno. Non la stessa forza troviamo in Eisenstein in Messico, ma audacia e creatività non comuni, cosicché la figura monumentale di Eisenstein appare sotto una luce nuova, rivitalizzata.