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Grimm al Goethe. Gli archetipi indelelbili nella rilettura di Baronsky e Veronesi
Ritorno nel mondo incantato delle fiabe, ormai quasi remoto ed impalpabile, immersione in atmosfere atemporali, capaci di travalicare con il loro potere magico i confini di ogni epoca. Questo è Grimmland, progetto organizzato dal Goethe Institute di Roma, per celebrare l’anniversario della pubblicazione della prima edizione di fiabe dei fratelli Grimm, uscita nel 1812 col titolo “Fiabe per i bambini e per la casa”, svoltosi nella sede del'istituzione lo scorso 24 maggio.
Obiettivo, quindi, è di far riflettere sul ruolo della dimensione fiabesca nella nostra realtà contemporanea, attraverso manifestazioni di vario tipo tra cui particolarmente interessante sembra essere “C’era una volta…oggi”, una serie di incontri in cui sette autori italiani e sette tedeschi presentano una loro personale rilettura delle fiabe dei Grimm. In tale affascinante contesto il 24 maggio si sono avvicendate le voci di Eva Baronsky e Sandro Veronesi, che hanno proposto la loro versione rispettivamente di Hänsel e Gretel e di Tremotino.
“Perizia psicologica” per la verifica dell’imputabilità di Filippo Stregotto, anni 16, attualmente assegnato al reparto forense”. Questo è il brusco incipit della riscrittura della Baronsky, che immette in un’atmosfera cupa e sinistra. Hansel e Gretel sono diventati Giovanni e Margherita, due ragazzini trascurati dalla famiglia e per questo adescati da Filippo, adolescente a cui spetta il ruolo della strega che intrappola i due ragazzini. Da notare come la casa di zucchero, accorgimento, nella fiaba dei Grimm, per attirare l’attenzione dei fanciulli, sia stata sostituita, nella sua funzione, dalla televisione e dal computer. La madre che, nell’originale, conduce i figli nel bosco per abbandonarli rivive, nel testo della Baronsky, nei genitori che non si occupano dei propri figli, “ma che li lasciano a bighellonare in strada per tutta la mattina”.
La fiaba è dunque diventata, come afferma la stessa autrice, emblema dell’incomunicabilità tipica della nostra moderna società tra bambini e genitori. Alla fine della storia della Baronsky, Giovanni e Margherita, dopo essere scampati all’incendio, ritornano dai loro genitori, sebbene questi siano i colpevoli di tutto. Mentre, quindi, nella fiaba di Hänsel e Gretel, si assiste ad una ricomposizione dell’ordine, simboleggiata significativamente dall’immagine dell’anatra bianca che conduce i fanciulli da una riva all’altra, nella riscrittura della Baronsky risulta assente qualsiasi elemento salvifico e di speranza. Non riecheggia affatto la formula tipica del “vissero tutti insieme felici e contenti”, ma quasi lapidario risuona il messaggio finale che “non c’è niente che vada bene”, lasciando presagire il reiterarsi dell’epopea del male. Questa è una differenza fondamentale, che induce ad una profonda riflessione sull’effettiva funzione delle fiabe nei nostri giorni. Anche nelle storie dei Grimm domina la paura, il male, la sofferenza, ma solo in quanto costituiscono la premessa per le ripetute prove a cui sono sottoposti i protagonisti, solo come passaggio per riemergere dalla fitta e buia foresta più temprati di prima. La dark side è, pertanto, ammessa per esorcizzare in fondo i timori dei bambini, a cui le storie erano e sono destinate, come motivo rigenerante e catartico, per comprendere quanto le difficoltà siano un’esperienza comune e non un’intima debolezza. In una tale prospettiva il male viene superato per lasciare spazio al tradizionale happy end. Nei nostri giorni, invece, sembra impossibile superare le insidie di un’ oscurità diventata la nostra dimensione naturale.
“Un vecchio tagliagole appartenente alla ‘ndrina detta dei Mugnai andava vantandosi in giro di avere una figlia che era bravissima a trasformare il talco in cocaina”. È la voce di Sandro Veronesi che risuona nella sala, per presentare la sua rilettura di Tremotino. Già dall’esordio si percepisce il senso di questa trasposizione: il semplice mugnaio dei Grimm è diventato un tagliagole della ‘ndrangheta; l’oro è diventato cocaina. Subito si è proiettati in un universo dominato dalla violenza, dall’orrore puro, dagli scontri tra clan rivali, da tutto ciò che, nella nostra società, genera timore anche negli adulti. Per riprendere, infatti, un’affermazione dello stesso Veronesi, “la ’ndrangheta risuona negli adulti come la parola lupo per i bambini”. E, intanto, colpiscono le continue violenze a cui è sottoposta la ragazza, il ricatto del carceriere e la sua uccisione. Una tale atmosfera appena accennata nella versione originale, acquista una cruda evidenza icastica nella riscrittura, nella quale non si assiste ad un superamento del male, ma quasi, invece, ad un suo trionfo. “E comunque vissero solo altri due anni, fino a quando vennero tutti uccisi – capo dei capi, ragazza e figlio- dai sicari di quella stessa ‘ndrina dei Porcari che s’impossessò delle loro ricchezze e del loro territorio”.
Tutti i personaggi sono trascinati nel turbinio della violenza, sono annientati dall’orrore, in quanto per loro non esistono magie che consentano un varco nell’esistenza. Veronesi, infatti, non crede ad una rimozione del male, forse perché oggi sembra impossibile scardinarlo davvero dalle nostre vite e, per esorcizzare le sensazioni connesse ad esso, è necessario dargli pieno potere. In una tale dinamica, tuttavia, si può ugualmente uscirne ritemprati, perché una rappresentazione esteriore della sofferenza proietta in una dimensione collettiva ciò che si crede sia solo individuale, liberando, pertanto, l’animo dei singoli da questo fardello.
Le fiabe dei Grimm, anche in queste riscritture moderne, hanno, quindi, dimostrato la loro efficacia, sprigionando ancor di più la loro energia nel momento stesso in cui si riflettono nello specchio deformato della nostra contemporaneità. I loro testi possono essere considerati degli archetipi indelebili, in quanto affrontano tematiche con cui l’umanità di ogni tempo è chiamata a confrontarsi, e i loro personaggi, seppure con immagini e significanti diversi, possono ancora dare una forma alla complessità umana. Ciò avviene non perché l’uomo non cambi mai, ma poiché nel mutamento di cui partecipa conserva inalterate delle costanti universali.