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The Hateful Eight. Misoginia splatter in quarti di stile
L'otto evidentemente non porta bene a Quentin Tarantino, oppure, prendendola con ironia, come si rileva appunto dal sarcastico titolo del suo ottavo e per ora ultimo film, gli risulta “odioso”: The Hateful Eight, nelle sale, in particolare di Cinecittà, nel famoso Studio 5 in pellicola da 70 mm. Dal prossimo 4 febbraio, piacerà ad alcuni ma deluderà molti altri.
Certo, chi apprezza Splatter & Co., con una regia impeccabile, tutta in teatro di posa, in interni, pochi esterni sulla neve, stile primo film sempre suo, ovvero Le Iene (Reservoir Dogs, 1992), sarà completamente soddisfatto; chi si aspetta di più invece, dopo Django Unchained (2012), storcerà il naso e dichiarerà che si tratta di un bell'esercizio di stile, infarcito di attori eccezionali – d'altronde Samuel L. Jackson aveva il profilo da predicatore-vendicatore già in Pulp Fiction (1994), e c'è tutto anche qui –, da Jackson, appunto, fino a Bruce Dern, continuando poi con Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Michael Madsen, Tim Roth, senza dimenticarci di Walton Goggins e Demián Bichir. Un quadretto che rimarrebbe in piedi da solo su una buona sceneggiatura che, a livello di passaggi, ci starebbe pure se non fosse che sembra un film che non prende mai il volo: dopo un'ora e quaranta finalmente succede qualcosa che, speri, movimenti l'azione e invece no: calci, pugni, sparatorie, cervelli che schizzano, molto cocomero o pomodoro a profusione e ti chiedi: tutto qui?
Tarantino non c'è dubbio, si è divertito, ha mosso egregiamente la telecamera e ha diretto gli attori con cura nei dettagli ma...la sostanza, ti chiedi, dov'è? La lettera di Abramo Lincoln è una trovata fin troppo facile e ripercorrere, raccontandola attraverso le voci di Marquis Warren (Samuel L. Jackson), la liberazione dei neri con la guerra civile americana – ancora cosiderati “niggers” (negracci) dai molti coprotagonisti del film, a cominciare dal Generale Smithers alias Bruce Dern – con un Samuel L. Jackson pronto con pistole e carabina nel bel mezzo di una bufera di neve, appare tautologico e ridondante.
L'unica donna poi, Jennifer Jason Leigh, è ridotta piuttosto male: con un occhio nero e botte da orbi (appunto, sic!), alla sua minima protesta, da parte di John Ruth, il boia interpretato da Kurt Russell che la sta conducendo a Red Rock per incassare la ricompensa “dead or alive”: ma lui preferisce “alive” per vederla impiccata. Misoginia in supersize a go go per adolescenti e post-adolescenti, che probabilmente scaricano parecchie frustrazioni in quarti di stile.
Nota di merito per il Golden Globe alla colonna sonora di Ennio Morricone che, tornato dopo oltre trent'anni al western, ha invece composto in grande stile: e su questo Tarantino ha fatto bene ad insistere.