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Invictus. L'invincibile perdono di Nelson Mandela
Nelson Mandela fu imprigionato dal 1963 fino al 1990: spese 27 anni in carcere ma riuscì in quello in cui gli stessi sud-africani non credevano, ovvero ad unire l’intero Sud Africa dopo la fine dell’apartheid, la segregazione dei neri da parte dei bianchi. Il film Invictus di Clint Eastwood con Morgan Freeman nella parte dell’incredibilmente somigliante Mandela, ci racconta come una partita di rugby, nel 1995, fece tifare a bianchi e neri la stessa squadra.
Tratto dal libro di John Carlin Ama il tuo nemico (Playing the Enemy) edito da Sperling&Kupfer, Invictus, ovvero l’invincibile dedicato a Nelson Mandela, gioca una delle partite più significative del secolo scorso: gli Springbocks sudafricani capitanati da François Pienaar (Matt Damon) affrontano gli All Blacks maori della Nuova Zelanda in un match in cui lo sport giocherà un ruolo unificatore per tutti, i bianchi come i neri. Per la prima volta nella storia del Sud Africa sottomesso dai bianchi ed ora governato dal primo nero della storia a capo dell’African National Congress, Nelson Mandela, dopo democratiche elezioni (fino ad allora i neri non votavano), bianchi e neri tifano la stessa squadra i cui colori, verde e oro, erano prima amati dai bianchi ed odiati dai neri, come ovvio riferimento all’apartheid ed all’inno che i bianchi afrikaans coniarono per il Sud Africa nero.
Ma, come si sente sulle labbra di Madiba (nome che si riferisce ad un titolo onorifico conferito agli anziani del clan di Mandela e che è diventato, con l’uso, il nome con cui i neri si appellano a lui) : “Il perdono libera l’anima e cancella la paura”, questo forse spiega in parte la forza e la coerenza, oltreché il coraggio di un uomo che ha sopportato la prigionia senza prostrarsi e che, come recita la poesia Invictus (1875) di William Ernest Henley,che dà il titolo al film:
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la pergamena,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.
La visita della squadra sudafricana alla prigione di Mandela a Robben Island e la stessa fermezza celebre e fredda di Mandela, non sono sinonimi che di questa poesia letta ad alta voce dentro di sé da Freeman nella parte di Mandela: una parte che gli sta a pennello e che lo rende quasi irriconoscibile tanto è la somiglianza con il Nobel del 1993 insieme al presidente bianco del Sud Africa, Frederik Willem de Klerk, che ha permesso la fine della segregazione razziale (apartheid).
A ricordo di quel periodo, e per darne una misura, sottolineo che per la prima volta nel 1988 venne cantata una canzone per un concerto speciale: il tributo ai settant’anni di Nelson Mandela con gruppi dai Dire Straits a Sting e coinvolgimenti di attori come Richard Gere e Whoopi Goldberg. Allora Mandela era ancora in prigione e la canzone si intitolava Mandela Day dei Simple Minds, che usci come b-side di Belfast Child dedicata alla guerra nord-irlandese. Le parole chiedevano la liberazione di Madiba che era in carcere già da 25 anni e venne liberato l’anno dopo. Questo vuol dire soltanto una cosa: che Mandela aveva ed ha ragione, che la paura divide e si sconfigge con il perdono ed è proprio questo che l’ha reso invincibile.
Una delle battute migliori tra il nero caposquadra delle guardie del Presidente Mandela Jason Tshabalala interpretato da Tony Kgoroge (cui non piace il rugby), ed il bianco Etienne Feyder (Julian Lewis Jones) che lo coadiuva (e ne è tifoso):
Lo sa che cosa si dice in giro qui? Che il gioco del calcio è un gioco da gentiluomini giocato da selvaggi mentre il rugby è un gioco da selvaggi giocato da gentiluomini.
Morgan Freeman come Miglior attore e Matt Demon come attore non protagonista sono entrambi candidati agli Academy Award.