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IUC. La compostezza struggente del Belcea Quartet
Tre concerti per una Schubertiade di lusso alla IUC - Istituzione Universitaria dei Concerti, a cominciare dal 15 novembre 2016 con il Belcea Quartet, di residenza nel Regno Unito e nato nell'ambito forbito del Royal College of Music di Londra nel 1994 grazie all'unione prima della violinista rumena Corina Belcea con il violista polacco Krzysztof Chorzelski, cui si sono aggiunti il violino di Axel Schacher ed il violoncello di Antoine Lederlin, entrambi francofoni.
A cominciare dal Quartettsatz, ovvero il primo movimento di quartetto dal quale è formato il Quartetto in do minore D. 703 (1820) di Franz Schubert (1797-1828) insieme all'abbozzo incompiuto del secondo movimento che Johannes Brahms si curò di far eseguire nel 1867 e pubblicare tre anni dopo. L'Allegro assai dell'incipit è suggestivamente introdotto da questo quartetto che mostra una precisione estrema nella stessa suadenza del suono insieme con l'adombrare un vibrato in tutte le sue particelle più infinitesime. L'Andante ci riporta dolcemente alla nostalgia cupa e ostinata del quartetto più celebre Der Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla) introducendo il lugubre tema di un altro famoso quartetto in do minore, il n.8 di Dmitrij Šostakovič, che fu eseguito, per volontà del compositore, ai suoi funerali nel 1975. Dopo la visita a Dresda, rasa al suolo a guerra finita – ed oggi completamente ricostruita –, Šostakovič, scioccato dall'enorme carico di distruzione della Seconda guerra mondiale, scrisse questo quartetto dedicandolo alle “vittime della guerra e del fascismo” e imperniandolo sul classico motivo DSCH (re, mi bemolle, do, si), sua firma qui come in altre opere, compresa la censurata allora Lady Macbeth del distretto di Mcensk.
“La compostezza della disperazione” sembra essere il sottotitolo di questo quartetto che si dipana fin dalle prime note come se lo stesso nucleo fondante si materializzasse nella perdita. Le lame affilate partono turbolente e senza sosta: la tradizione slava si addentra fin negli anditi più reconditi, risvegliandosi feroce: staffilettate acuminate di un valzer fermato nel suo divenire impazzito – cenni non riconosciuti a La valse di Ravel e allo Stravinskij più avanzato. Il dialogo tra violino e viola è un duello all'ultimo sangue, una partita a scacchi dove vince la morte. Sullo sfondo gli Hollow Men di Eliot recitano la Wasteland avviandosi sotto i ponti di una città irreale.
Uno dei quartetti più lunghi in assoluto, questo Quartetto in sol maggiore D. 887 di Schubert: ben cinquanta minuti che afferrano la profonda levigatezza spirituale trasparente da ogni singola nota, dai legati, dai glissandi per sfociare in un dialogo arguto tra gli archi che muta presto in una quasi serenata. L'Allegro assai, pieno di risvolti energici, è eseguito con esattezza e purezza nelle linee melodiche e nella dialettica tra gli archi, una “canzona italiana” quasi, con le rime distillate da quell'impeto romantico e fluido anche nel contrasto tra maggior e minore, vieppiù nelle frasi del violoncello a tratti solista anche nel precedente Scherzo.
Applauditissimo, il Belcea Quartet ha offerto generosamente un bis dal terzo movimento del Quartetto n. 3 di Dmitrij Šostakovič, caratterizzato da un ritmo parossistico e trascinante, seppur nella sua intima apoteosi. Concerto strepitoso di un quartetto al livello di coloro ai quali fanno evidentemente riferimento, il Quartetto Alban Berg e l'Amadeus, aggiungendo il glorioso Quartetto Italiano celebre per Beethoven, di cui il Belcea ha affrontato l'integrale.