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IUC. L'ìpnotico klezmer del groovin' Krakauer
Il clarinettista magico del klezmer è approdato alla IUC - Istituzione Universitaria dei Concerti, lo scorso 11 novembre per contaminarla coi suoni del suo gruppo, gli Ancestral Groove, nome che la dice lunga su quello che abbiamo sperimentato durante la serata. Stare fermi in poltrona è difficile e sembra proprio di stare in uno di quei (allora, prima del divieto epocale) fumosi pub dell'East Village nel cuore della grande mela, dove si incontrava con gente del calibro di John Zorn: i suoni di David Krakauer partono dal klezmer come base di incanto (quando suona sembra che faccia uscire da ipotetici vasi di corda altrettanto immaginari boa o serpenti a sonagli) per raggiungere il pubblico su un tappeto sonoro che travalica tutte le frontiere.
Il concerto è unico come i suoi musicisti, che presenta subito e provenienti dalla Madness Orchestra: Jeremy 'Keepalive' Flower (voce, laptop, sintetizzatore), Sheryl Bayley (chitarra), Jerome Harris (basso) e Michael Sarin (batteria). Ognuno di loro è un master dello strumento, a cominciare dall'unica donna: Sheryl Bayley ha conquistato il terzo posto al concorso Thelonius Monk ed è stata Artist-in-Residence al Conservatorio di San Pietroburgo, e già queste due gemme basterebbero a comprovare il suo valore, ma non è abbastanza. La chitarra di Sheryl non ha rivali: quando inizia sulla base di Keepalive il primo brano tra klezmer e folclore jazz (non saprei come definire altrimenti certe armonie), lei dipinge la linea melodica in modo esatto ed allo stesso tempo tortuoso, come farebbero Zappa, Santana, Vaughan nel pieno del loro estro.
Krakauer, che ha scelto questo nome in omaggio a Krakow (Cracovia) dopo che c'è stato nel 1992, entra dopo un po' a suonare nel gruppo già affiatato da tempo e presenta alla fine il secondo dei pezzi: Krakowski Boulevard, dedicato alla capitale polacca. Keepalive cuce un tappeto dove il clarinetto si svincola dal resto della band, sviscerando i suon più densi e flessuosi. Su un morbido funk, chitarra e basso – l'eccellente Jerome Harris, che fino al 1994 è stato il chitarrista di Sonny Rollins – dipingono suoni anni '70. Bayley è una maestra nell'arte dell'imprvvisazione contaminando suoni orientali con tessuti di loop: gli altri aumentano il ritmo rivelando la caratura cerebrale pe run mix esplosivo.
Un celebre brano dedicato a Sidney Bechet: Klezmer à la Bechet, è la scusa per Krakauer per infilarsi nel klezmer più puro e intenso: riconduce la sua improvvisazione alle radici, quasi nella convinzione che tutto, tra gli strumenti, si trasformerà in un sano discorso animato, ed ha del tutto ragione. Il dialogo col batterista, Michael Sarin – collaboratore di Erik Friedlander, che abbiamo ascoltato tante volte con la maxi band di John Zorn – si fa più febbrile per un po', lasciando entrare in seguito tutti per lanciare un assolo tribale e poi una scatenata Wedding Dance.
Kickin'it for you sembra uscita fuori dalle calde colonne sonore anni '60, quelle dei film dove le spie della guerra fredda erano o Roger Moore o Michael Caine e dove la linea di basso diventa più profonda per ammaliare con lo stesso fascino antico. Arriva finalmente il pezzo dell'amico Zorn: si chiama Calm down ma non ha nulla né di calmo né di rilassato. Si riconosce il tributo agli anni '70 ma rivistati in chiave debitamente distorta (lo Zorn di Book of Angels proprio con Krakauer, 2012, edito dalla Tzadik), in cui anche la chitarra si fa più sfacciata ed elettro ed il basso prepotente si fa avanti anche lui di più.
E poi riprende la storia della sua nonna bielorussa che gli ha fatto provare i vini rossi della Romania del Nord, quella della Moldavia, che gli raccontava di quando la famiglia lasciò l'Europa dell'est e nasce allora Moldavian Voyage: un impianto lirico su cui ricamano cori in sottofondo tramite le magie di Keepalive. Mentre il clarinetto di Krakauer ricuce nostalgico la via del ritorno verso la New York dove è nato nel '56.
Alla fine del pranzo di Natale la tradizione giudaica vuole che si lasci la porta aperta, un pasto caldo ed un bicchiere di vino per chi non non lo ha avuto: ed ecco che Alicia walkes in (Alice entra) che rientra tra le sonorità di Zorn ed un free jazz reinventato in chiave elettro, Krakauer sembra “arrotolare” il clarinetto per ipnotizzare sempre con più vigoria il suo prediletto ascoltatore (il pubblico-serpente che invece di danzare batte le mani a tempo estasiato).
A questo punto entra in scena la old band, i Klezmatics, la prima con cui ha suonato ed il pezzo è Check-point lounge, dedicato al crollo del Muro di Berlino: loro erano nel 1990 (il muro crollò il 9 novembre 1989, quindi qualche mese dopo) in una lounge che era proprio questo, un check-point, e l'atmosfera di “thrilling” si sente tutta, serpeggia nei suoni che scivolano negli interni scuri che immaginiamo li circondavano di ombre.
Il suo finale è ai limiti dell'ultrasuono: Krakauer sfoggia una potenza inaudita per un lungo assolo di “respiro rircolare”, diremmo noi se fosse al pianoforte, ma lui vi riesce senza staccare la bocca dallo strumento e intonando le note più alte, trattenendole allo stesso tempo per farle vibrare sonoramente nell'Aula Magna strapiena della IUC. Poi si diverte nel fraseggio e facendo entrare l'intero ensemble per un finale lirico e groove.
C'è il bis e stavolta le sonorità hip-hop sono riconoscibilissime: il clarinetto sempre proiettato nel groove tinto di klezmer ci lascia con una scia verso le radici americane dei pioneers e già immaginiamo scenari western nel Medio Oriente, continuando a battere piedi e mani insieme ad una sala eterogenea e giovane che entusiasta lo richiama affettuosamente sul palco per il tributo gioioso finale.