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IUC. Le perle turche di Fazil Say
Lo scorso martedì 23 gennaio alle 20.30 è tornato Fazil Say alla IUC, l'Istituzione Universitaria dei Concerti per un concerto che parte dai Notturni di Chopin, passa per l'Appassionata di Beethoven fino alle sei Gnossiennes di Erik Satie, ed ha concluso con Black Earth e Yürüyen Köşk – Hommage à Atatürk, op. 72, due sue perle compositive dedicata la seconda alla sua patria, la Turchia.
Dal secondo Notturno in do diesis minore si prende il volo con la tastiera di Fazil Say: mentre il primo Notturno in mi minore op. 72 poteva farci ancora cullare nella Varsavia in cui viveva Chopin ai tempi della composizione, a 17 anni, nei due Notturni postumi – l'ultimo in do minore -, si viene travolti dalla cristallina battitura di Say che “parla” letteralmente alla tastiera ed al pubblico con girandole d'incredibili fluttuazioni.
Lodato, si ricorda, da uno dei compositori tedeschi odierni di maggior grido autore del King Lear presentato due anni fa all'Opéra Garnier, Aribert Reimann descrive Fazil Say come si usava per Paganini: “un diabolus!”, e lo è in effetti con l'Appassionata di Beethoven che diventa inarrestabile nell'Allegro non troppo – Presto, in cui la sua “parlantina” gestuale diventa verace e continua, e ricca di rimandi per i suoni svettanti verso un'espressività di impulso ritmico e con un moto perpetuo che fa riverberare l'incisività del Perpetuum mobile di Ravel nella sua sonata per violino in sol maggiore (registrata peraltro da Say con Patricia Kopatchinskaja in un cd Naïve).
L'eccentricità dei sei brani che compongono Gnossiennes è perfetta per l'icasticità di Say: si muove benissimo tra i miti evocati dal labirinto di Cnosso, il Minotauro, Arianna e Teseo e non hanno affatto l'aspetto di brani concepiti a fine '800, sembrano decisamente avanguardistici ed accostabili perlomeno al primo Novecento.
Black Heart è una composizione di Say che dà anche il titolo ad un suo cd (sempre per Naïve) ed è la canzone popolare turca Kara Toprak, composta da Aşık Veysel (1894-1973), che si riveste di pizzicati gravi ad eco in un imbuto di suoni vibranti contaminati col jazz.
In prima esecuzione italiana abbiamo invece ascoltato un'altra composizioen di Fazil Say sia per piano solo sia per quintetto dal nome altisonante di Yürüyen Köşk – Hommage à Atatürk, op. 7. Il titolo significa “il palazzo che cammina” ed è diviso in quatto movimenti (Illuminazione – Lotta contro l’oscurità – Credere nella vita – Il platano) costituisce anche la quarta parte di The Art of the Piano. Atatürk è il padre della Turchia moderna, che fece dono di tutte le sue ricchhezze al suo popolo allo stesso tempo impartendogli un saggio insegnamento: che è meglio spostare un palazzo piuttosto che un albero, il platano dell'ultimo brano della composizione, ecco la chiave di lettura del titolo tradotto “il palazzo che cammina”, in un apoteosi ecologica ante litteram. Reminescenze dalla sua terra in un tappeto di cristallo convergono verso un unicum che rappresenta la sua profonda scienza della composizione per piano, e non solo.
Acclamato sul palco, generosamente ha concesso un bis dal Notturno in mi bemolle maggiore op. 9 n. 2 di Chopin, in un romantico epilogo.