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IUC. Preludio e Sacre di violoncelli e pianoforti
Un concerto di rilievo virtuosistico alla IUC, Istituzione Universitaria dei Concerti. lo scorso 17 gennaio 2014, con un duo di violoncelli e pianoforti con dei masterpieces del Novecento: dal balletto che scioccò la platea dell'Opéra de Paris nel 1913, Stravinskij con Le sacre du printemps; all'altrettanto celebre musica per balletto Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy fino a La Valse di Ravel, che nacque come omaggio a Strauss; ed in ultimo la versione originale per due pianoforti di Lutosławski delle Variazioni su un tema di Paganini.
Il concerto, come dicevamo, ha combinato gli arrangiamenti di quattro celebri pezzi, i primi due provenienti dall’“anima slava” di Igor Stravinskij e Witold Lutosławski, il terzo e il quarto invece di matrice francese, quella novecentista di Claude Debussy e Maurice Ravel.
Di Stravinskij, probabilmente il musicista più innovatore che abbia mai partorito la “madre Russia”, è stato eseguito quel celeberrimo capolavoro costituito da Le Sacre du Printemps. Nella trascrizione, dovuta a Giuseppe Andaloro, le due coppie di strumenti si dividono la complessa partitura, risultando più compatibili del previsto.
Stravinskij ebbe l’intuizione dell’opera – come racconta nelle Cronache della mia vita – grazie a un improvviso volo della sua immaginazione, che lo indusse a raffigurarsi lo spettacolo di un rito sacro pagano, in cui dei vecchi saggi, seduti secondo una disposizione circolare, assistono alla danza di una vergine che ballerà fino alla totale estenuazione e alla morte: un singolare e macabro sacrificio propiziatorio al fine di accattivarsi il favore delle divinità preposte alla primavera e ai raccolti.
Alla fine l’opera, strutturata come un poema sinfonico, genere reso famoso soprattutto da Richard Strauss, venne eseguita il 29 maggio 1913 a Parigi, come suite per un balletto inscenato da Les Ballets Russes di Sergej Pavlovič Djagilev, presso il Théâtre des Champs-Élysées, con le coreografie di Vaclav Fomič Nižinskij. A più di un secolo di distanza, l’opera è ancora in grado di sconcertare l’ascoltatore dal gusto piccolo-borghese o comunque colui che diventa diffidente di fronte a qualsiasi composizione che vada oltre i canoni rassicuranti del “classicismo” viennese, interpretato in modo pedissequo e banale (anche se lo scandalo suscitato in occasione della sua première oggi non sarebbe manifestabile in occasioni pubbliche).
Stravinskij traspone in musica il nucleo oscuro dei riti pagani della Russia atavica, mediando sapientemente tra il ritmo selvaggio e sorgivo delle danze telluriche e la rigorosa disciplina richiesta da un’orchestrazione classica. Del resto, il linguaggio usato dal compositore russo è visibilmente connesso con la musica tradizionale della sua madrepatria, ma con toni già presaghi delle esperienze avanguardistiche del secolo scorso. Si nota per esempio come i fraseggi melodici non arrivino a una conclusione, ma diventano quasi dei loop ciclici che ruotano intorno a un’unica nota: sono spesso di tipo diatonico, e vengono o mutuati dal folklore o presi semplicemente di peso dalla scala cromatica, come le quintine della turbinosa danza finale. Degno di rilievo è anche l’avvicendamento di ritmi quasi statici, che però sono pronti a liberare un’immensa energia, e ritmi più dinamici, ma contraddistinti da una forte irregolarità.
Il quartetto ha trovato un’originalissima maniera di sopperire alla mancanza di alcuni strumenti richiesti dalla partitura originale, riuscendo mirabilmente a rendere la complessità armonica del Sacre, e producendo un effetto quasi dodecafonico, da una parte, e a metà strada tra il jazz e il rock progressive, dall’altra (e non a caso il secondo bis era dedicato a “We Will Rock You” dei Queen, oltre al fatto che Sollima ha più volte proposto nei concerti cover dei King Crimson, ad esempio di “21st Century Schizoid Man”). Si ricordi peraltro che lo stesso compositore aveva con grande lungimiranza precorso le sonorità proprie del jazz (ad esempio nel Ragtime per undici strumenti del 1918 e nel Preludium for jazz band del 1936) e perfino del rock (il che spiega come sia stato ripreso da molti musicisti rock, da Frank Zappa agli Yes, da Siouxsie & The Banshees ai King Crimson, che citano ampiamente la Danza delle adolescenti del Sacre in Larks' Tongues In Aspic, part two).
I violoncelli, benché fossero strumenti d’epoca, sono stati utilizzati mettendo in evidenza l’aspetto primitivo, soprattutto negli ostinati, con toni lancinanti e percussivi. A metà concerto, Sollima abbandona per un momento il violoncello e si precipita letteralmente su uno dei due pianoforti, fino ad allora un po’ in secondo piano, facendone vibrare le corde con le mani, in un empito scatenato. Certo, sono mancati i picchi dinamici che solo un’orchestra al gran completo avrebbe potuto rendere adeguatamente; ma in compenso le introduzioni alle due parti in cui si divide l’opera (L’adorazione della terra e Il sacrificio), allusive del risveglio della natura, sono state rese traducendo le coloriture quasi impressioniste in modo espressivo e riflessivo, con dei pianissimi rarefatti e suggestivi.
In conclusione, possiamo riprendere alcune valutazioni del grande filosofo e musicologo Theodor W. Adorno, che, nonostante alcuni severi giudizi formulati su Stravinskij nella Filosofia della musica moderna (dove egli rappresenterebbe la “restaurazione”, contrapposta al “progresso” simboleggiato dalla dodecafonia di Arnold Schönberg), aveva giustamente visto nella musica del Sacre la celebrazione del “sacrificio antiumanistico alla collettività”. Questo sacrificio veniva definito “senza tragicità, immolato non all’immagine nascente dell’uomo, ma alla cieca convalida di una condizione che la vittima stessa riconosce, sia con l’autoderisione, sia con l’autoestinzione”.
Del resto, prosegue Adorno, “come un prestigiatore fa sparire la bella fanciulla sulla scena del variété, così nel Sacre la musica fa prestigiosamente sparire il soggetto che deve portare il peso della religione naturale. Con altre parole: non si giunge a nessuna antitesi estetica tra la vittima immolata e la tribù, ma piuttosto la danza di quella porta a compimento la sua identificazione non osteggiata e diretta con questa”.
Nella seconda parte vengono eseguite le Variazioni su un tema di Paganini nella versione originale per due pianoforti del compositore polacco Witold Lutosławski (1913-1994) che provengono dal Capriccio n. 24 di Paganini stesso, costringerndo l'esecutore ad un virtuosismo pulito e brillante che risulta benissimo dal suono dei due pianoforti; e stavolta si ascolta bene il tocco lucido e vivace del russo Ilya Rashkovsky.
Il Prélude à l'après-midi d'un faune, eseguito per la prima volta con grandissimo successo nel 1894, era una breve composizione orchestrale del giovane Claude Debussy, che si era ispirato ad una celebre egloga scritta nel 1876 dal poeta Stéphane Mallarmé. Debussy aveva interpretato perfettamente la poesia di Mallarmé, creando, con la sua musica piena di suggestioni, un'atmosfera apollinea che non descrive, ma evoca un ambiente mitologico fin dall'inizio, con l'iridescente e onirico suono del flauto che introduce l'orchestra. Qui, naturalmente, il flauto non c'è, bensì le parti sono agite dai due violoncelli di Monika Leskovar e Giovanni Sollima, che l'ha trascritto. La suggestività coi violoncelli si traduce in una rarefazione ancora più intensa, un racconto a due sottovoce tra le fanciulle melodiche del violoncello di Monika Leskovar, ed il controcanto più aspro e ardito di Sollima, che immaginiamo un po' come il fauno che intende sedurle, con effetti raffinatissimi.
La Valse di Ravel narra di una Vienna che permane, languida fra i suoi passi di valzer: quasi un malore di sottofondo si astrae dai fuorvianti aspetti musicali che si colgono facilmente in questo valzer. Si è inquieti e lo schema classico vira altrove attraverso le percussioni, i pianoforti della trascrizione di Andeloro – che ad un certo punto si alza imponendo con le dita la vibrazione alle corde all'interno del pianoforte. Il suono si stempera in brevi cenni che finiscono per assomigliare ad uccelli che friniscono impazziti per un finale improvviso e ad effetto per questo doppio di archi gravi e pianoforti, e dove i violoncelli si evidenziano come il controcanto ai bagliori dei pianoforti.
Grandissimo successo per questo concerto particolare ed inatteso e doppio bis a gran richiesta con un brano da Le Sacre e We will rock you dei Queen con pubblico in applauso battente.