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IUC. Tra le perlacee dita di Chloe Mun
Eleganza e compostezza sono state protagoniste indiscusse della serata del debutto romano di Chloe Mun (nome d’arte di Jiyeong Mun) all’Istituzione Universitaria dei Concerti. L’avevamo lasciata a Bolzano un anno fa, sul podio del Concorso Busoni non solo come primo premio ma anche con una serie di premi speciali (per l’interpretazione di musica pianistica contemporanea, per la migliore esecuzione di un’opera per pianoforte e orchestra di Beethoven, per il premio Tartarotti e Amadeus).
La sua spiccata personalità musicale era già chiara. Da Haydn a Bach a Chopin, fino a Ravel, Busoni e Sørensen, Chloe Mun aveva mostrato di saper affrontare la tecnica di ogni periodo storico e anche la vittoria del Concorso di Ginevra aveva contribuito ad ampliare le aspettative su di lei che, seppur ancora giovanissima, si mostrava agguerrita nelle sue esecuzioni ma mai aggressiva.
A Roma presenta parte del suo repertorio scegliendo tra il classico e il romantico.
La sua capacità di lettura ha saputo valorizzare la costruzione complessa e articolata della Sonata in si bemolle maggiore K333 di Mozart, meravigliando soprattutto nel secondo movimento per la cantabilità e per il suono perlato che la pianista coreana trasforma, senza alcun apparente sforzo, in un tocco nitido e leggero nel Rondò finale. Il gioco di Mozart di inserire nella Sonata una forma di “cadenza”, come nei concerti per pianoforte e orchestra, le dà l’occasione di mostrare un primo assaggio della sua facilità virtuosistica. E la perfezione tecnica è ancora il suo punto di forza in Albeniz dove però ci si aspettava una maggiore varietà timbrica. Il popolo gitano di Triana in Siviglia balla il flamenco; la città di Almería vive dei suoni e delle emozioni della corrida. I ritmi della danza spagnola sembrano non essere pienamente consoni al contegno e alla disciplina orientale che non si scompone neanche al trillo di un cellulare (italiano!), incautamente rimasto acceso tra le note di Rondeña.
Dopo l’intervallo Chloe Mun ritorna tra gli applausi calorosi del pubblico per la prova di Schumann, sicuramente più bella nella parte melanconica di Blumenstück (Leise bewegt e Ein wenig langsamer) dove l’artista si fa apprezzare per il legato, per il suono morbido e dolce anche nella sezione accordale. Cristallini e delicatissimi i suoni acuti della tastiera si alternano ai bassi profondi e caldi creando un tappeto sonoro di dolcezza ineffabile che richiama alla mente l’immagine dei fiori che Schumann desiderava lasciare.
Poi affronta la magnificenza e la grandiosità della Fantasia op.19 ma il “sacro fuoco” di Florestano non è ancora così appassionato. D’altronde a vent’anni è anche giusto non conoscere appieno le sfumature ardenti e impulsive dell’amore e dunque l’opera soffre un po’ della mancanza delle intenzioni del compositore tedesco quando scrive a Clara Wieck: “Potrai capire la Fantasia soltanto se ti riporti all’infelice estate 1836, quando rinunciai a te…perché il primo tempo è davvero quanto di più appassionato abbia mai scritto…”. Chloe Mun però sa cogliere bene il senso di grande mestizia di questa pagina, sfoderando un virtuosismo leggero ma nello stesso tempo potente, non cedendo a smancerie romantiche e misurando bene le forze per tutta la durata dell’opera.
Ed è ancora Schumann che la giovanissima artista regala al pubblico entusiasta che la richiama per il bis: Widmung, il primo lied della raccolta “Myrthen” trascritto da Liszt. È la conferma di una pianista di classe.