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L'attesa. Testimone del vuoto
L'attesa è l'opera prima di Piero Messina, che ha avuto un'ottima accoglienza a Venezia, frutto di una virtuosa collaborazione tra regia, sceneggiatura e fotografia nonché dalla preziosa recitazione di Juliette Binoche e della giovane Lou de Laâge.
Anna (Juliette Binoche), bella ed elegante signora francese, vive in una bellissima villa siciliana, dove si è trasferita dopo il matrimonio. Vedova da diversi anni, deve assistere anche alla morte del figlio. Jean (Lou de Laâge), la fidanzata del giovane, arriva sull'isola. Anna cercherà strenuamente di nasconderle la gravissima perdita. Gli ambienti, la casa come i paesaggi, sono testimoni del vuoto che Giuseppe ha lasciato e del dolore incolmabile che Anna non riesce ad affrontare.
È prodotto dalla stessa Indigo, che nel giro di pochi anni si è imposta come una delle realtà produttive indipendenti più interessanti del cinema italiano; oltre Sorrentino vanta nomi di tutto rispetto come Salvatores, Maria Sole Tognazzi, il documentario civile di Daniele Vicari o la serie intelligente e innovativa della TV pubblica generalista Una mamma imperfetta.
La critica ha ben recensito il film ed è questo è un caso evidente in cui, invece di guardare il film di un giovane eppur maturo cineasta, si “appoggia” a qualcosa di sicuro, come il fatto che Piero Messina è stato assistente di Sorrentino.
Da talentuoso e motivato giovane ha sicuramente riportato un'esperienza importante da quei set, ma Sorrentino qua c'entra ben poco.
Il film si regge benissimo da solo, forte non solo di una regia oculata e insieme visionaria, ma di una scrittura altrettanto intensa e matura (G. Bendotti, I. Macchia, A. P. Massara) e una fotografia magistrale (Francesco Di Giacomo). Gli attori - mi pare di poter immaginare il set - sembrano messi nelle condizioni ottimali per esprimere la propria bravura.
L'innegabile estetica accompagna la costruzione del senso; concentrata, in ogni senso, è questa bella opera prima.
Il racconto si ispira lontanamente a La vita che ti diedi dell'illustre siciliano (come le origini del regista) Pirandello, che malgrado la fama di autore dalla affilata razionalità, non è riuscito a scalfire il luogo comune della Sicilia calda e mediterranea; il film assesta un altro colpo ad aspettative un po' scontate grazie a una ricerca così raffinata da apparire a tratti algida; eppure, contestualizzati, le immagini e i movimenti di macchina stilizzati, rendono perfettamente l'idea che sta alla base de L'attesa.
Il film è a tutti gli effetti una elaborazione del dolore, il dolore primo, quello della madre, motivo largamente esplorato dalla storia dell'arte e dal grande cinema.
Anna attende, prolunga, diluisce il tempo che la separa dall'ammettere la grave perdita e in questo disperato intento coinvolge Jeanne, la fidanzata francese di suo figlio, arrivata in Sicilia per raggiungerlo; per nasconderle la verità, contro il parere del fidato inserviente Pietro (G. Colangeli), costruisce minuziosamente la menzogna, avvolgendola con una lieve ed intelligente familiarità: i dialoghi tra le due donne sono scritti e interpretati con rara bravura.
La prima sequenza è un lungo movimento di macchina attorno ad un crocifisso di legno su un campo totalmente buio che si conclude dietro alle gambe di Anna mentre si bagnano, da sotto la gonna, di un pianto ancestrale e quasi osceno, se non fosse limato dallo sguardo discreto della macchina da presa.
Un climax sapiente ci conduce, quasi sul finale, alla processione, unica scena corale di un film tutto girato in spazi ampi e vuoti, durante la quale Anna sperimenta finalmente la perdita mescolandosi nella folla. Tornando a casa all'alba troverà una consapevole Jeanne, disposta a perdonarle l'arbitrio che come madre si è arrogata.