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Les Misérables. L'epica musicale di un capolavoro
Dopo aver narrato il percorso ascensonale della regale voce balbuziente di re Giorgio VI, Tom Hooper fa librare quella soave e imperiosa del misero Jean Valjean (Hugh Jackman) che combatte a suon di ariose melodie con il suo rivale e persecutore Javert (Russel Crowe) in Les Misérables.
Come per Il discorso del Re, anche ne Le Misérables, il cammino di un uomo va di pari passo con quello di una nazione, e sui suoi lineamenti scavati dall'interno si riflettono le pieghe della Storia. Musical d'altri tempi, non c'è che dire, ma per la quarta opera del regista britannico si può quasi osare la definizione di melodramma filmico, tanto riesce a trasfondere i raffinati stilemi del primo medium (l'opera lirica) nella complessa articolazione espressiva del secondo (il musical cinematografico). La resa complessiva, coerentemente radicata nel romanzo di Victor Hugo e ispirata alla grande pittura del primo Ottocento (David, Goya, Delocroix), è in sé sublime tripudio di arte e tributo allo spirito, dell'individuo così come del collettivo, di un'epoca così come di ogni epoca.
Tutto ha inizio a Toulon, nel cruciale 1815. Jean Valjean – prigioniero 24601 – dopo 19 anni di lavori forzati viene liberato grazie ad un'amnistia. A consegnargli il documento di rilascio è Javert, spietato agente ossessionato dalla legge, che giura all'ex-prigioniero eterna sorveglianza. La vita di Valjean passa da un inferno ad un altro, fatto di emarginazione e miseria, che irrancidisce ancora di più un carattere già profondamente indurito dalla prigionia. Un inaspettato gesto di perdono da parte del Cardinale Myriel di Digne (Colm Wilkinson), folgora improvvisamente il suo spirito, deviandone il destino verso un cammino di rettitudine e misericordia. Otto anni dopo, Jean, dopo aver violato la libertà vigilata, ha assunto una nuova identità come Signor Madeleine, benevolo proprietario di una fabbrica nonché sindaco della città di Montreuil-sur-Mer. Fra le sue dipendenti vi è Fantine (Anne Hathaway), ragazza madre che viene licenziata dal caposquadra perché restia alle sue avances e alla cui preghiera di aiuto Valjean non dà ascolto perché preoccupato dell'arrivo di Javert, nel frattempo divenuto ispettore di polizia. Fantine, gettata nel mezzo alla strada, si vede costretta a sottoporsi a progressive umiliazioni per racimolare il denaro necessario per mantenere la figlia Cosette, affidata ai Thénardier (Helena Bonham-Carter e Sacha Baron Cohen), una coppia di locandieri-furfanti che sfruttano la bambina mentre viziano la loro unica figlia Èponine. Jean si accorge della disgrazia solo quando Fantine è in fin di vita, e per espiare il senso di colpa le promette di prendersi cura di Cosette (Amanda Seyfried). Da quel momento la sua vita sarà indissolubilmente legata a lei, in fuga dal sempre più ossessivo Javert e fra i fuochi e le barricate dell'insurrezione di Parigi del '32.
Fin dalla monumentale sequenza d'apertura (“Look down”), Les Misérables proclama il suo carattere epico intriso di melodramma catalizzando la sua narrazione attorno allo scontro fra Valjean e Javert, emblemi di due contrapposte concezioni di giustizia. Per il secondo essa soggiace alla legge, unica espressione possibile della volontà divina e di cui lui stesso si sente paladino per vocazione (“Stars”). Per Jean, che di lì a poco verrà folgorato dalla fede, essa è l'ordine virtuoso che emana dalla pietas cristiana (“What have I done?”) e che dunque travalica i fallaci confini della legge (“Who am I?”) e a cui l'inaspettato sentimento dell'amore paterno dà senso supremo (“Suddenly”, scritta per il film).
Attorno a questo conflitto, che benché ammantato delle sua veste religiosa nondimeno racchiude in sé una più laica e universale dialettica esistenziale, ruotano le dinamiche di una nazione (“Do you hear the people sing?”) che è microcosmo storico dell'Occidente contemporaneo.
Amore, amicizia, destino, speranza, temi che scaturiscono potentemente in una narrazione che sintetizza con struggente armonia sequenze di maestosa potenza corale con momenti intimistici di rara delicatezza (su tutti “I dreamed a dream”), guidata dalla mano sicura di un regista consapevole che nel cinema spesso si realizzano capolavori. E Les Misérables ne è prova fra le più fulgide degli ultimi anni.