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Locke. Un viaggio in vivavoce
Il nuovo film di Steven Knight prende il nome dal suo protagonista, Ivan Locke, perché in realtà poi si tratta dell'unico personaggio che vedremo in scena, in una pazza corsa da Birmingham a Londra sulla via della “cosa giusta” di sapore e stile americano. Niente American Dream, anche perché in Inghilterra mai ha attecchito, ma nella sceneggiatura dello stesso regista sì, ed è in tutti i suoi dialoghi, a costruirli come sostanza delle azioni di Tom Hardy alias Ivan Locke.
Il ritmo c'è e si segue in questo incessante viaggio verso una semisconoscita, una quarantenne di nome Bethan con cui Ivan ha avuto un intercourse di una notte e che adesso è in ospedale che sta partorendo – con estreme difficoltà – un figlio da lui concepito in quella notte un po' brava, un po' ubriaca, un po' leggera per entrambi. Lui, Ivan, felicemente (?! sic!) sposato con Katrina e con due figli che rassicura al telefono mentre seguono la partita che avrebbero voluto condividere con il padre, deve “fare la cosa giusta”, che in questo caso è raggiungere Bethan all'ospedale e riconoscere il figlio. Nel mentre, via telefono, dovrà mettere a posto una colata di calcestruzzo per costruire un intero parco: un lavoro che però viene ostacolato da alcune sue distrazioni, e che dovrà aggiustare a distanza, attaccato al cellulare in vivavoce durante tutto il viaggio.
La tensione viene mantenuta e Tom Hardy interpreta perfettamente il suo ruolo; però l'assenza in fondo di un azione vera e propria non fa decollare del tutto il film e ci fa pensare che non sia del tutto compiuto.