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Marguerite et Julien. La malinconica dolcezza del proibito
Delicato ritratto di una storia vera, Marguerite et Julien di Valérie Donzelli, racconta di come i due fratelli del titolo, si innamorarono da bambini e svilupparono una passione dirompente da adulti, sullo sfondo atemporale creato dalla regista di un 1600 fittizio rivestito di una potente patina di modernità travolgente. Presentato in Concorso a Cannes, parte da un progetto del 1973 di François Truffaut che aveva chiesto a Jean Gruault di scriverne la sceneggiatura, Valérie Donzelli e Jérémie Elkaïm l'hanno riscritta partendo dal progetto di Gruault e dando voce ai due amanti, Julien e Marguerite de Ravalet, innamoratisi loro malgrado.
I due protagonisti, l'attore e compagno di avventure Jérémie Elkaïm nel ruolo di Julien, et Anaïs Demoustier in quello di Marguerite, elaborano con sensibile attenzione tutti gli stigmi dell'amore, facendo risuonare negli sguardi, nella sinestesia dei sensi, il metalinguaggio dei sentimenti dal grado zero financo nei sussulti imperituri della passione, con infinita dolcezza e solerte solennità, in raffinatissime espressioni. Come se si sussurrassero, uguali parole a quelle della canzone che apre e chioude il film, la lirica Midnight Summer Dream degli Stranglers:
Woke up on a good day
And the world was wonderful
A midnight summer dream had me in its spell
(Trad.mia: Mi svegliai in un bel giorno/ ed il mondo era meraviglioso/ un sogno di una mezzanotte d'estate mi aveva catturato con il suo incantesimo).
Julien e Marguerite sono in un incantesimo, uno scherzo del destino, mistico e preciso come la freccia di Cupido, come se potessero sopravvivere i sogni dal 1603 fino ad oggi.
Ostacolati dall'abate di famiglia interpretato da Sami Frey, lui che indovina la passione incestuosa che li avrebbe legati più tardi, Marguerite et Julien sono i rappresentanti innocenti di un tabù sempre vivo e tra i più forti della società contemporanea: l'incesto. Vietato per motivazioni di salvaguardia genetica (i geni dello stesso tipo tendono a riprodurre stesse malattie soprattutto ereditarie) e per motivi morali, la regista Donzelli lo affronta in profondità, per come è radicato socialmente nei secoli dove ancora regnava il re, che rivela nella sua assoluta corruzione e condanna i due giovani per difendere sé stesso.
Particolarmente straniante poi la cornice narrativa scelta, che situa il racconto in una dimensione mitica e mistica, adducendolo a delle orfanelle con la leader Esthér Garrel che guida la storia mischiandola con la sua fantasia. Il film è il primo di Donzelli che non parte da sue esperienze personali ma da un canovaccio storico ammantandolo di leggenda: il film così diventa cerebrale e mistico come se, come ripete lei stessa: “Quest'amore così proibito non avesse altra soluzione se non la morte”. Una poesia filmica con inserti fotografici (questi un po' ostici alla visione, quasi a fermarne la narrazione emotiva) ed una scena, quella della cena, che tutto rivela: la passione dei due amanti, la costrizione di costumi sociali che nulla hanno a che vedere col burrascoso procedere dei sentimenti, la sospensione dal giudizio, in modo che il pubblico possa autonomamente capire, criticare o prendere parte autenticamente alla storia.
Un film straordinariamente poeticamente sensoriale, col suo velo pittoresco ad esaltare la malinconica dolcezza del proibito, l'attrazione dissoluta per qualcuno che è già in noi, fuso nello stesso istante.
Julien et Marguerite nascono il primo nel 1582, lei nel 1586, entrambi morranno uniti nel 1603 da un irreparabile destino, sopravvivendo ovunque se ne trovi sprazzo, nelle foglie romantiche che ha cantato Whitman a conclusione del film.