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Margutta Art Village. L’arte della (dis)abilità
Anche le persone diversamente abili sono in grado di realizzare vere opere d’arte, con grande sensibilità e potenza espressiva. Le loro composizioni possono tranquillamente competere con le opere di artisti normodotati, come possiamo constatare nel Margutta Art Village, che ospita fino al 28 febbraio 2016 la mostra Without borders. Senza confini. La grande arte della disabilità.
Il nuovo spazio espositivo del Margutta Art Village, che apre con questa iniziativa, è situato all’interno del cortile al numero 51 di via Margutta, abitato e frequentato tra gli anni ‘30 e ’70 del Novecento da grandi artisti, e set del celebre film Vacanze romane, con Audrey Hepburn e Gregory Peck. Il complesso edilizio appartiene all’Istituto Sant’Alessio Margherita di Savoia per i ciechi, che ha pensato di utilizzare uno spazio espositivo come “palcoscenico” dell’arte dei disabili, da affiancare agli altri due spazi dedicati (da novembre 2015) all’arte contemporanea di grandi maestri e giovani artisti di talento. Il cortile è diventato così un luogo di vera integrazione, un giardino incantato dove vivere tutti insieme l’arte e la cultura. Oltre al Sant’Alessio, il merito dell’iniziativa va a Feedya Art Foundation, un’organizzazione che sostiene l’arte e punta a portarla fuori dai musei e dalle gallerie tradizionali, e soprattutto rende fruibile l’arte a tutti, per esempio attraverso mostre tattili, o supportate da materiale audio o in Braille adatto ai non vedenti, come nella mostra (sempre nel Margutta Art Village) del pittore futurista Sebastiano Carta (1913-1973), supportata da materiale audio, oppure in quella di Sabrina Ventrella, che presenta opere tattili sul tema delle favole, eseguite con materiali riciclati di uso quotidiano, che lei trasforma dando loro una particolare impronta onirica.
La rassegna Without borders. Senza confini, a cura di Diana Alessandrini (direttore artistico di Feedya Art Foundation e Margutta Art Village), prevede un ciclo di mostre della durata di un mese, affiancate da conferenze e incontri sul tema, ma anche da laboratori di pittura, scultura, ceramica, fotografia, teatro per vedenti e non. In questa prima esposizione vengono presentate le opere di Annalisa Astrologo, scultrice non vedente dalla nascita, e di Lucilla D’Antilio, scultrice diventata cieca gradualmente, in seguito a una congiuntivite. Entrambe prediligono la figura umana, ma possono inserire anche altri elementi. Della Astrologo ammiriamo tra le altre cose un Autoritratto e Leda e il cigno. Della D’Antilio è particolarmente sorprendente una scultura di argilla bianca (a imitazione del marmo) intitolata Principio immanente, raffigurante una testa e due mani che escono fuori da un blocco squadrato.
Sono pure esposte le opere pittoriche e ceramiche dei disabili che frequentano l’ANFFAS ROMA ONLUS, in particolare il Laboratorio di Bottega dell’Arte del maestro Antonio De Pietro, artista di fama internazionale. Sono decisamente artistici i vestiti dipinti realizzati da diversi ragazzi, le sculture in terracotta di Gaetano Porsio dalla fantasia surreale (come l’uomo dalla testa di maiale), il bel paesaggio di Ermanno Sinisi dalla libera geometria, il Trenino gigante di Bruno Viteri in legno dipinto e tante altre opere. Ricordiamo che l’Anfass, associazione che unisce e sostiene le famiglie di persone con disabilità relazionale e comportamentale, lavora su progetti, pensati su misura per un gruppo di disabili, che, pur coinvolgendo tutti, rispettino le loro capacità individuali. Come scrive la curatrice della rassegna Diana Alessandrini, “Gli artisti che qui espongono danno vita a una mostra di grandissima potenza espressiva, a tratti commovente, organica e validissima … Questa è arte a tutti gli effetti. Grande arte. Senza se e senza ma. Soprattutto senza pietismi. È la dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di quanto l’arte sia un’ispirazione e un’attitudine interiore che appartiene a tutti”.
Le due scultrici non vedenti hanno dato, nel corso della presentazione del 30 gennaio, una dimostrazione pratica del loro modo di lavorare l’argilla, mentre Enrico Santini ha dipinto sotto lo sguardo dei presenti un coloratissimo e poetico agglomerato di casette, affermando che per lui “l’arte è un momento di felicità”. Lucilla D’Antilio, spiegando il suo operato, ha detto: “Noi possiamo fare le stesse cose dei vedenti, perché le mani hanno una sapienza straordinaria. A me rimane il ricordo visivo di quello che ho toccato e, quando lavoro, ho un’immagine mentale di ciò che voglio fare”.
La sua capacità di reinventarsi come scultrice, dopo essere stata insegnante di grafica e stampa in un istituto d’arte, è un esempio per tutti. Parlare con lei è stato molto educativo. È proprio al Sant’Alessio che la D'Antilio ha frequentato un corso di riabilitazione e un primo laboratorio di manipolazione dell’argilla, e in seguito ha imparato da alcuni maestri, tra cui il grande Kokocinski, fino ad arrivare ad una sua tecnica personale. Per ottenere effetti pittorici non dipinge sopra l’argilla, ma applica l’argilla già colorata, come si vede nell’opera raffigurante Kodama, l’anima dell’albero, una sorta di genio pensoso che fuoriesce da un insieme di foglie. Le foglie sono realizzate con un’argilla verdastra che grazie alle diverse sfumature e variegature crea un sorprendente effetto cromatico. Anche gli occhi sono resi più espressivi con un’argilla colorata. Inoltre le superfici sono diverse al tatto a seconda di quello che la scultrice ha voluto raffigurare (più ruvide le parti anatomiche del fanciullo, più lisce quelle vegetali).