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Metallica 3D. Master del Metal con Fisher
I Metallica non hanno bisogno di presentazioni: sono un’istituzione. Sicuramente il gruppo metal più famoso del mondo, genere sconfinato di musica dura da cui prendono (e a cui sinergicamente danno) nome. Oggi sono arrivati al punto di prodursi da soli i dischi attraverso la loro nuova etichetta Blackened (dal titolo di un pezzo famosissimo), che ha partecipato anche alla produzione di Metallica 3D – Through the never.
Questa opera a tre dimensioni è sperimentale da più punti di vista: non solo la tecnica e l’inventiva con cui il regista d’origini ungheresi Nimród Antal ha impresso una carica incredibile all’impatto dei musicisti, facendo lavorare in parallelo fino a ventiquattro macchine da presa. A stupirci è il combinato di un concerto senza paragoni che riassume il non plus ultra della storica band californiana e di una trama sullo sfondo, ben più che abbozzata, particolarità questa che lo rende un film unico nel suo genere, un ibrido mai visto finora. Neanche nella loro precedente esperienza documentaristico-musicale Some kind of monster.
Questo live cinematografico è ciò che più si avvicina all’esperienza reale di un concerto estremo visto più dal palco che dagli spalti, risparmiandosi quindi quei bestioni che ti grondano sudore addosso come si stessero sciogliendo, ed evitando di farsi calpestare e travolgere dal pogo feroce e dalla folla isterica (nonostante le rimostranze, amo profondamente questo casino!). L’immenso stage (61 m di lunghezza!) è al centro del palazzetto, è fornito di quattro ali, da cui i membri del gruppo possono incitare maggiormente i fan; dal pavimento fuoriesce di tutto, da colonne di fiamme a croci da cimitero, mentre anche dall’alto piovono scariche elettriche, laser e oggettistica truculenta varia. L’esperienza è totale: si può quasi addentare il gusto amaro e grezzo dell’energia sprigionata da una formazione decisamente sopra le righe: il distruttore James Hetfield, il leggiadro Kirk Hammett, Lars Ulrich eccitatissimo e Robert Trujillo indio arcano in bermuda e scarpe da ginnastica (è lui che fa tremare le pareti con un muro di casse spaventoso durante il sound check).
Il parlato è ridotto quasi a zero, la trama al di fuori del concerto è a suo modo semplice, lineare: un giovane roadie della crew, Trip interpretato da Dane DeHann in questi giorni nelle sale anche con Giovani ribelli, viene mandato a cercare un oggetto essenziale alla band, ma la sua ricerca si complica quando si trova nel bel mezzo di una rivolta popolare guidata da nientepopodimeno che un Master of Puppets in maschera antigas, dal cappio eccessivamente facile. Alcune delle scene di lotta non sono per niente realistiche e la logicità degli eventi che si susseguono non esiste, ma lo stile è pienamente il loro. Riuscitissima la dissolvenza che identifica i riottosi con i fan.
Chiusura melodica e intimistica con una Orion suonata in occhiali da sole a palazzetto vuoto, circondati dai titoli di coda che già scorrono, fra questi si scorge la dedica a Mark Fisher scomparso quest’estate, scenografo geniale dei concerti più riusciti della storia del rock, sua la firma del palco Metallico su cui s’esibiscono Ulrich & soci. Ora che è venuto a mancare il loro sodale Lou Reed, quel sottotitolo assegnato al film si carica di un senso ancora più oscuro…And nothing else matters.