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Monaco. Il Dies Irae di Weinberg e Shostakovich allo Judisches Zentrum
Un’unione d’amicizia che percorse le composizioni di entrambi, questa tra Weinberg e Shostakovich, e che andò ben al di là di un confronto fra pari: si stimavano reciprocamente ed il primo fu grandemente influenzato dal secondo, come si nota appunto in queste due sinfonie, la 10° per Weinberg e la 14° per Shostakovich. Le due sinfonie dirette da Daniel Grossmann, interprete attento quanto risoluto, insieme alla sua Orchestra Jakobsplatz di Monaco presso lo Judisches Zentrum il 15 marzo scorso, sono perfette metafore di quanto queste ondate del Novecento ebbero a crescere come portata nella musica contemporanea.
La prima parte del concerto è dedicata a Mieczyslaw Weinberg (1919-1996) e alla Sinfonia n. 10 in la minore, un’opera del 1968 – un anno prima di quella che segue, la 14°, di Shostakovich, che è del 1969 -, per archi, e l’Orchester Jakobsplatz München si presenta in una piccola formazione di archi e percussioni con celesta, che è anche la formazione che richiede la sinfonia seguente del maestro russo di Weinberg, reduce ebreo-polacco sfuggito nel 1938 alle persecuzioni naziste.
Un’opera della trascendenza questa di Weinberg, che inizia con una serie di accordi paralleli su un tema mesto cui dà la sferzata il primo violino per un nuovo accordo, guidando e movimentando l’orchestra nel primo movimento del Concerto grosso. Il primo violino, l’eccellente Sandor Galgoczi, introduce il legato dei violini cui gli archi gravi rispondono, producendo un dialogo serrato. Il tema principale, quasi parodico, viene ripetuto nel pizzicato, interrotto da brani intenzionalmente “caotici” cui partecipa tutto l’ensemble – con ovvi rimandi a Schönberg ed alle nuove sperimentazioni. La Pastorale, dall’incedere flemmatico, ripete poi quattro note, che sembrano non riuscire a svilupparsi, formando un tessuto d’inquietudine densa: è il primo violino a sciogliere il dilemma in un grido in assolo, il direttore ferma l’orchestra e Galgoczi delizia con struggenza da solo, per lasciare poi il posto ad un altro solo, quello del violoncello straordinario di Aniko Zeke.
La Canzone, il Burlesco e l’Inversione quasi non si distinguono per soluzione di continuità ed il ritmo orientale e parodico che rappresenta temi seri in pizzicati patetici, suona beffardo echeggiando notevolmente Shostakovich. Il Burlesco suona come uno Scherzo, agitato, vivace, con stridii del primo violino tipicamente weinberghiani che riprendono il tema in crescendo. L’Inversione invece si basa sull’intervallo diabolico del tritono con intermezzi schönberghiani e dodecafonici che lasciano l’ascoltatore esterrefatto da tanta violenza nel finale sussultorio.
Rispetto alla Quarta sinfonia, la Decima di Weinberg rappresenta la risposta del musicista alle inquietudini profonde che esprime anche Messiaen in particolare nella sinfonia Turangalila (1946-48): il tessuto musicale weinberghiano lavora però su sottigliezze quasi evanescenti, mirando ad una trascendenza che equivoca e non traspare dagli spazi, piuttosto rimane sfuggente e aleatoria.
Nella 14° Sinfonia op.135, Dimitri Shostakovich (1906-1975) voleva, attraverso la sottolineatura di quanto può essere rigidamente ferma nella tenebra, la morte, proprio l’opposto: la brillantezza kaleidoscopica della vita. E questo emerge da ogni riga di questa sinfonia scritta nel 1969 come risposta alle Canzoni e danze di morte di Mussorgsky che Shostakovich orchestrò nel 1962.
La sinfonia, dedicata a Benjamin Britten che la diresse l’anno seguente la premiere assoluta, s’incentra su undici (e mai numero, anche nella Cabala e nella numerologia è più foriero di sfortuna) Lieder tratti da quattro poeti: due da Lorca, ben sei da Apollinaire (che ha origini russe), due da Rilke (tra cui la famosa “La morte del poeta”), ed una dal meno conosciuto Wilhelm Küchelbecker. Tutte in russo, in questo concerto vengono cantati da due eccezionali nomi del Marinskij Theatre di Gergiev, ovvero Tatiana Pavlovskaya, soprano, e Sergei Leiferkus, baritono.
Concepita per piccola orchestra d’archi e percussioni con basso e soprano, Shostakovich la orchestrò anche solo per piccola orchestra da camera con soli archi e percussioni, nell’Adagio del primo movimento, ovvero il De profundis (Leiferkus) di Federico García Lorca, si nota subito la reminescenza del Dies Irae, che si ripeterà soprattutto nel penultimo movimento, il decimo, sostanziandosi per le voci in quasi tutti recitativi, che sono chiaramente intonati in russo dai due cantanti protagonisti (esistono altre due versioni: nelle lingue originali oppure in tedesco).
Tutti i movimenti, anche quelli maggiormente vivaci, sono terribilmente “fermi” nella loro evocazione disperata della morte: la solidità della tragedia finale emerge con estrema potenza ed annichilimento nel brano elegiaco iniziale quanto nell’altro Adagio di Le Suicidé di Guillaume Apollinaire (cantato da Pavlovskaya sola).
L’Allegretto di Malagueña di Federico García Lorca, mostra quanto la Pavlovskaya abbia una voce piena di un’intensità tragica propriamente russa come dimostra il suo repertorio, piuttosto incentrato sulle grandi opere russe di Shostakovich e Ciaikowskij.
La Loreley (Allegro molto) del duetto tratto dalla poesia di Guillaume Apollinaire si denota con estrema compressione nel canto, rispetto per esempio, alla versione del 2007 di Evguenia Tselovalnik, soprano, ed Evgueni Nesterenko, basso; svetta su qualche leggerezza solo grazie agli interventi della celesta.
I due episodi di Apollinaire denominati Les Attentives I e II, rispettivamente un Allegretto ed un Adagio, sono mossi da un motivetto dello xilofono in stile beffardo che nell’Adagio di À la Santé di Apollinaire (Leiferkus), che muta in un respiro tragico d’ensemble degli archi. L’Allegro di Réponse des Cosaques Zaporogues au Sultan de Constantinople, ancora su lirica di Apollinaire, la voce di Leiferkus incede su un legato serrato degli archi per trasformarsi in una sorta di marcetta tirata all’estremo dai glissando degli archi.
L’Andante di O, Del'vig, Del'vig! su testo di Wilhelm Küchelbecker (romantico russo, 1797-1846) è un recitativo che si scioglie in qualche flessuosità sullo stemperare dei violini ma ecco che giunge il Largo dolcissimo e sconsolato di Der Tod des Dichters di Rainer Maria Rilke, intonato dalla soprano, mentre il Dies Irae del De Profundis aleggia sullo sfondo. Il Moderato che chiude la sinfonia si chiama proprio Schlußstück (Brano di chiusura) ed è tratto dal Das Buch der Bilder di Rainer Maria Rilke (1902-1906), e chiosa come con delle cesoie questa amareggiata passeggiata nei cieli rannuvolati dell’ultima istanza.