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Monaco. Falstaff e la burla di Verdi al Prinzregententheater
La prima del Falstaff di Giuseppe Verdi, la sua ultima opera scritta tra 1890 e 1893, si è svolta lo scorso 18 maggio al Prinzregententheater, dove si è spostata la programmazione dello Stadtheater am Gärtnerplatz di Monaco di Baviera per ragioni di restauro dell’edificio. Successive rappresentazioni si avranno fino al 4 giugno prossimo. Con l’Orchestra ed il Coro dello Stadtheater am Gärtnerplatz diretti da Lukas Beikircher, la commedia lirica in tre atti con il libretto di Arrigo Boito, è andata in scena con Gregor Dalal nella parte principale e Gary Martin in quella di Ford.
Le due voci principali di questa commedia con al suo centro una serie pressoché infinita di burle e quasi a scatola cinese, si sono comportate piuttosto bene: i due baritoni Dalal e Martin hanno inoltre ricevuto parecchi applausi dal pubblico, a mio avviso più meritati quelli di Dalal, che è entrato nella malinconia di fondo del personaggio, una sorta di Immanuel Rath uscito dall’Angelo Azzurro ma senza Lola (cfr. il libro omonimo di Heinrich Mann ed il film del 1930 con la regia di Joseph Von Stember e Marlene Dietrich nella parte principale), soprattutto per il finale, sicuramente però meno tragico e sostanzialmente e moralmente pedagogico. Gary Martin ha una bella ed intensa voce però non l’esatta coloritura per Ford, che dovrebbe avere maggiori variazioni, particolarmente evidenti proprio per la lingua usata, l’italiano. Il personaggio di Fenton, il giovane seduttore della figlia di Ford, Nannetta (Christina Gerstberger), interpretato da Robert Sellier, è sembrato raffinato e dolcemente appassonato, come gli impone la parte (nonché lesto nello scappare alle ire del padre dell’innamnorata).
L’allestimento di questa commedia degli equivoci che Verdi ha tratto dalle shakespeariane Le allegre comari di Windsor ed Enrico IV (The Merry Wives of Windsor e King Henry IV), a cura di Christian Floeren, sono sembrate adeguate seppur essenziali e filologiche, e con un guizzo magico per il quadro della Tregenda, che anche con pochi dettagli, nella presentazione dell’albero, delle luci particolarmente ben dosate, con i blu e piccole lucine che creavano un effetto luminescente da fiaba, ci sono piaciute particolarmente e vanno lodate. Con esse la perfetta regia del Coro a cura di Hinnerk Andresen, ed il Coro stesso, che ci ha regalato un terzo atto (II quadro), straordinario e ben organizzato, dal touche onirico, che avrebbe deliziato Verdi stesso, comparso alla fine dopo gli applausi attraverso una pantomima di sé stesso.