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Mondo Bizzarro. I conuigi Saudek e Lucamaleonte
Due mostre stimolanti alla Mondo Bizzarro Art Gallery di Roma: Jan e Sara Saudek nella gallery principale, mentre le opere in stencil del romano Lucamaleonte nella nuova Project Room: la prima mostra, a cura di Barbara Collevecchio, è in esposizione fino al 4 settembre; mentre la seconda, a cura di Marta Gargiulo, fino al 14 agosto 2011.
Le donne di Jan Saudek (1935), ebreo ceco deportato a Terezin e poi tornato a Praga, dove attualmente vive, vengono situate in uno strano spazio ricco di drappeggi e rovine, come la prima fotografia ritoccata all’acquerello, che incontriamo nel nostro percorso: la gloriosa e nuda bionda di The Slavic Girl with the Skull of her Father (1988). Su questo sfondo indaco, virante al verde-acqua, - uno dei suoi colori preferiti, soprattutto il verde muschio carico, con cui tinge le calze delle sue modelle, come in Green Stockings (1978) -, possiamo riconoscere lo scantinato dei suoi primi lavori, nonostante questa mostra esponga opere che vanno dal 1992 al 2003 (ma anche indietro fino agli anni ’70 alcune), retrodatate tutte di circa un secolo.
I corpi floridi si susseguono e sembrano profilarci un’avvenenza turbata da qualche orrore e corruzione per l’innocenza di una pelle tersa, tirata, inquinata da simboli che rimandano alla perversione, sia a livello fisico sia concettuale, come la bella Zuzanka (1979), grottesca, con una maschera di Halloween sul corpo sinuoso e statuario. Le allegorie del belga Félicien Rops con (1833-1898) fanno capolino con le sue Pornokratès (1896) come anche il ferocemente dissacrante Alfred Kubin (1877-1959), per quanto riguarda l’associazione eros e morte, per cui rimando al libro di Ivano Galletta Le ombre dell’eros per una disamina che si dispiega anche nel territorio filmico, musicale e antropologico del topos in questione (edizioni Il Foglio Letterario, 2010).
Uno dei simboli ricorrenti nelle foto di Saudek è una bambola di pezza, ovvio legame tra l’innocenza e l’erotismo, come per esempio nella Nana (1992) che ne tiene in mano una, nella sua deformità esibita, oppure nelle contorsioni di Lady in Theatre Box (1994). Entrambe le foto condividono un non so che di ingenuo che fa scemare la volgarità, che sottende a molte foto, come estremo richiamo di una sessualità a volte spinta all’eccesso anatomico, come in Elusive Dream (The Dream of Evelyn, 1976).
Oltre agli altri espliciti richiami a James Ensor (1860-1949) per le maschere ed il lato grottesco, ve n’è un altro a Fernand Knopff (1858-1921) per il lato fantasmatico, ed a Nadar per la particolare Odalisk with the water pipe (Odalisque with Nargilé and snake, 2003), che sembra propriamente uscita dal Club des Hashischins che tra 1844 e 1849 frequentavano il Dr. Jacques-Joseph Moreau (che scrisse un libro nel 1845 intitolato Hashish and Mental Alienation) insieme a Theophile Gautier, Charles Baudelaire, Gérard de Nerval, Eugene Delacroix, e Alexandre Dumas.
Altre virate sono astrali, come This Star is mine (1975), con una fanciulla che indica la stella sotto la luna, disegnata su un pannello dentro una stanza; oppure di contrasto tra un femminile florido ed eburneo (che sembra glaciale) ed un maschile caldo e pulsante come Fire and Rain (1987). La serie di Jan Saudek lascia il posto alla moglie Sara (1967), che presto ha seguito la scia della fotografia (non ritoccata però) del marito, con un velo di ironia più forte, donne orgogliose delle loro forme estremamente rotonde e curve, di fronte a uomini di Vitruvio (Enviousness, 2006) )in perfetta forma e transgender. La Holy Virgin (2003) invece ritrae lei col suo bambino, in bianco e nero come quasi tutte le altre (alcune in sepia), maestosa e muscolosa, ben sicura e garante di un ordine che poco prima l’aveva ritratta in sei pose diverse di fronte allo stesso specchio.
Nella Project Room invece si situa un bestiario dai risvolti medievali, come nelle farfalle insieme ad altri insetti dell’incisione Untitled (2011) non appena si varca l’entrata, oppure gli altri a seguire, Untiled da 1 a 9, che riproducono insetti diversi fino alla farfalla, Untiled 8, e proponendo al visitatore anche la scoperta delle matrici (in vendita), per esempio del camaleonte appunto dello stencil Know how (2011), con ben quattro passaggi in mostra. Questo l’immaginario animale di Lucamaleonte (Roma, 1983), che ha scelto altri animali simbolici come il lupo, il gufo, vari uccelli, specie di tirannosauri, dinosauri, che sono presenti solo con il loro muso, adunco come quello derivante dagli uccelli, oppure a fauci, come i progenitori dei grossi felini, in Vita in morte (2011) per esempio. Notevoli le riproduzioni dei lupi e degli uccelli, come quella logo della mostra di Fucking Freedom, una serigrafia di quest’anno.
In questa strana foresta magmatica e puntigliosamente riflessa l’una nell’altra, lasciamo la mostra, tra le donne sinuose di Saudek, e le belve modernamente antiche di Lucamaleonte, con in mente un volo pindarico, tra le maschere di specchi che ci hanno suggerito: “Fu la maschera in cui s’immerse la tua mente, e dopo aver regolato il tuo cuore per far batter lui, non ciò che era dietro la sua facciata”, (Trad. mia; tit. orig.: ‘It was the mask engaged your mind,/ And after set your heart to beat,/ Not what’s behind.’ William Butler Yeats, The Mask; “The Mask” in Poesie, Mondadori, Milano, 2000 (1974). Dalla raccolta The Green Helmet and Other Poems, 1910).