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Mr Beaver. Nessun uomo è un'isola
Questa non è la storia di Mr. Beaver, che è solo una marionetta. E', invece, la storia di Walter Black (Mel Gibson), un uomo di famiglia affettuoso e premuroso, che sta attraversando un periodo difficile: la fabbrica di giocattoli di cui è il direttore è prossima al fallimento e lui, non riuscendo ad affrontare i problemi e a risollevarsi dalla caduta, precipita in uno stato depressivo continuo. Il film si chiama Mr Beaver è è diretto da Jodie Foster, grande amica di Mel Gibson.
Perso ogni stimolo e desiderio, Walter è come bloccato, non reagisce a ciò che accade intorno a lui, è assente e indifferente nella vita quotidiana in famiglia, tanto che passa le giornate dormendo. Questa situazione non fa che trascinarsi giorno dopo giorno, mentre il figlio minore continua a chiedere alla madre cosa sia successo e il maggiore, in collera col padre, descrive sui post-it, attaccati l'uno dopo l'altro sulle pareti della sua stanza, qualsiasi cosa lo faccia assomigliare al padre, per potersene allontanare emotivamente il più possibile.
La moglie, Meredith (Jodie Foster), stanca di convivere con l'assenza del marito che tanto amava, lo allonana da casa e così, rimasto solo, Walter si risveglia inaspettatamente dallo stato di depressione a seguito di un vano tentativo di suicidio, dando voce alla parte di sé ancora attaccata alla vita mediante una marionetta raffigurante un castoro, che inizia a muovere con una mano.
L'uomo, che a questa aveva dato nome "Mr. Beaver", si rifugia in tale figura così sicura di sé e dal carattere forte che altro non era se non il suo alter ego (dal latino, altro io, ovvero un altro da sè all'interno della stessa persona), una sorta di doppio incarnato concretamente in un pupazzo. La marionetta diventa, perciò, una terapia per Walter che riceve, grazie alla scoperta di questa parte di se stesso, una nuova spinta ad andare avanti ed agire, riuscendo a risollevare le sorti della sua azienda con idee nuove ed originali.
Mr. Beaver sembra ricordare il pallone, "Wilson", che in qualche modo riesce a salvare Chuck Noland dalla pazzia, causata dalla totale solitudine, nel film "Cast Away" (2000). Col tempo, però, l'alter ego Beaver, che inizialmente sembrava stesse riportando Walter sulla strada giusta, finisce per diventare una presenza ingrombrante, troppo interessata alla realizzazione di sé a discapito, invece, del rapporto con la moglie e i figli.
Nello stesso momento, anche il figlio maggiore, Porter – la cui vicenda corrisponde ad un importante subplot (sottotrama) rispetto alla trama principale – riceve una grande delusione sia scolastica sia amorosa e, come il padre, sembra scivolare in uno stato di sonnolenza depressiva.
Jodie Foster, in questo film regista e attrice, sceglie di raccontare, quindi, la storia di un uomo comune che, in un periodo difficile della sua vita, cade in depressione, affrontando il tema della malattia mentale, tanto acuta e destabilizzante da far venir meno le certezze e i valori universali per gli individui.
Durante la maggior parte del film, la narrazione sembra concentrata soltanto sulla divisione dell'io dell'individuo – tanto da riuscire a intravedere la tematica del doppio – scisso tra le due tendenze contrastanti: egoistico interesse per la realizzazione personale da una parte e legame con la persona amata e gli affetti familiari dall'altra.
Come in un dramma teatrale carico di tensione emotiva, concretizzata dalla bravura degli attori nell'affrontare tematiche tanto comuni quanto complicate, questa storia – che tocca anche il tema del delicato rapporto padre-figlio – vuol porre l'accento su come il legame con le persone care diventi una molla per dare vigore a se stessi, tanto da ritrovare la forza d'animo perduta in situazioni difficili.
Proprio come affermava il poeta inglese John Donne con i versi di "No man is an island" (No man is an island entire of itself; every man/ is a piece of the continent, a part of the main; nessun uomo è un'isola intera in sè stessa; ogni uomo è un lacerto del continente, una parte del tutto, trad. Livia Bidoli; contenuti in "Meditation XVII" da Devotions on Emergent Occasions, 1623), nessun individuo è un'isola, sufficiente a sè stesso, ma ha bisogno di confrontarsi e relazionarsi con gli altri, al fine di accettare e conoscere nel profondo se stesso.