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Il Mulino. La ctonia risorsa del mondo
L’umanità di ogni epoca è ricorsa, per un forte impulso interiore, al pensiero magico, tentando in tal modo di squarciare il velo dell’occulto, rendendolo più visibile. E proprio alla scoperta di questo “contenitore di paure e di illusioni della nostra specie” ci conduce il testo di Giulio Guidorizzi La trama segreta del mondo, edito recentemente da Il Mulino.
Lo studioso, docente di Letteratura greca e Antropologia del mondo antico, si sofferma ad esaminare la presenza del pensiero magico anche nella cultura greca, dove si è configurato come base della scienza e della filosofia, arrivando talvolta a coesistere con esse. Quella che è significativamente definita la “nemica della ragione” è riuscita e riesce ancora oggi ad insinuarsi prepotentemente in ogni piega dell’esistenza, sfidando perfino le solide impalcature della razionalità, sfuggendo alle riserve e alla repressione della cultura ufficiale, mostrandosi capace di assurgere, in tal modo, soprattutto in determinate epoche, al ruolo di guida dell’umanità.
Guidorizzi evidenzia, infatti, attraverso un’accurata analisi delle fonti antiche, come la cultura ufficiale greca, in particolare nel V secolo, abbia tentato di denigrare la pratica magica, considerando il mondo dei magoi come un insieme di personaggi equivoci, da punire o da reprimere, in quanto non erano dei sapienti, padroni di una nobile conoscenza iniziatica, ma piuttosto dei cialtroni dediti a traffici poco puliti. La magia, pertanto, era considerata una prerogativa solo dei popoli barbari, ovvero dei Persiani, dai quali appunto deriva il termine magos, e di quei personaggi mitologici connotati dispregiativamente dai Greci, come Medea.
Nonostante tali forme di controllo, il pensiero magico, lungi dal dimorare solamente presso popoli primordiali che si trovano presso degli "altrove" remoti e inaccessibili, è riuscito a divenire parte integrante anche della cultura greca, quella stessa cultura promotrice della razionalità filosofica e scientifica, in quanto le paure più recondite dell’animo umano dimorano in ogni popolo e pretendono di essere esorcizzate.
Proprio presso i Greci, infatti, se la parola “mago” entra tardi nel vocabolario, molte operazioni che poteva compiere esistevano da epoche remote, poiché il tempo della magia non è il tempo degli uomini, giacché essa, provenendo da forze ancestrali della natura, si è sedimentata successivamente in quanto trasmessa di generazione in generazione. Guidorizzi, infatti, sapientemente richiama alla mente del lettore l’esistenza di pratiche magiche addirittura in un’epoca preomerica, quando esistevano corporazioni di maghi esperti in incantesimi, come Dattili, Cureti e Telchini.
Da questo mondo al di fuori della storia la magia è entrata a far parte del tessuto sociale, come dimostrano i versi omerici, ripetutamente citati nel saggio, i quali si configurano proprio come riflesso ed essenza della civiltà greca. Gli stessi personaggi epici che costituiscono il fondamento dell’identità greca ne sono coinvolti. A tal proposito risulta interessante l’episodio contenuto nel XIX canto dell’Odissea riportato dallo studioso, che descrive un rito di passaggio mediante il quale Ulisse sarebbe stato incluso nel gruppo degli adulti guidato dal nonno materno Autolico. Durante tale prova Ulisse si ferisce e i suoi familiari lo guariscono attraverso un incantesimo, un aoidé che simboleggia la parola magica propedeutica alla guarigione.
Guidorizzi, tuttavia, dimostra come la magia sia allo stesso tempo connessa con una serie di pratiche di difficile definizione, mostrando alcuni punti di contatto proprio con la religione. Anzi, talvolta, sembra piuttosto labile il confine tra l’una e l’altra, poggiando entrambe su una ritualità particolare che fa leva sulla dimensione dell’irrazionale. Per sottolineare ciò, Guidorizzi cita l’episodio iniziale dell’Iliade, quando sull’accampamento acheo si abbatte una pestilenza dovuta alla preghiera di Crise. In questo caso l’invocazione della divinità si carica di sensi ambigui, plurimi, diventando essa stessa evocazione magica che consente l’intervento delle forze occulte. Ciò dimostra, pertanto, come la magia non sia relegata in un ambito specifico, isolato, ma in realtà sia presente sotterraneamente anche negli ambiti tradizionali, agendo come forza latente. Ciò che la distanzia dalla religione è la sua derivazione dalle primigenie forze ctonie, in quanto indissolubilmente legata alla Madre Terra; relegata ai margini invece dalla religione tradizionale, basata invece sulle forze celesti.
Un altro ambito in cui la magia riesce ad insinuarsi abilmente, scardinando ogni distinzione netta, è la poesia, ambito nel quale il logos coesiste con il suo opposto, anzi si confonde direttamente con esso. La parola poetica è, quindi, una forma magica, perché capace di incantare le anime, seducendo le menti in virtù del suo potere misterioso.
Le forze magiche, quindi, possono irrompere sempre in ogni epoca e l’uomo di ogni tempo può subirne il fascino, diventandone preda e lasciandosi trasportare in una dimensione altra, in cui il razionale si lascia sedurre e condurre da un irrazionale capace di cogliere sfumature inedite dell’esistenza.