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This must be the place. Il recupero della memoria
Indimenticabile e unico. E' l'atipico protagonista dell'ultimo film di Paolo Sorrentino, interpretato in modo esclusivo da Sean Penn. Cheyenne (Sean Penn) è una rockstar del passato che, nonostante i suoi cinquant'anni d'età e una carriera musicale terminata già da tempo, continua a vestirsi e truccarsi come quando era ragazzo, conducendo una vita agiata ma monotona nella propria villa in Irlanda insieme alla moglie Jane (Frances McDormand), con cui è sposato da più di trent'anni.
L'uomo, sempre presente per ascoltare i problemi sentimentali degli amici più cari, tuttavia, manifesta una sorta di malinconico e silenzioso malessere nei confronti del mondo circostante, sulle cui cause però non si pone domande. Scosso dalla tragica notizia della morte del padre, decide di partire immediatamente per New York dove questi abitava, assumendo solo allora la consapevolezza di non aver mai stretto con lui un vero rapporto e di non conoscere affatto il suo passato.
Dopo aver scoperto che il padre aveva trascorso gran parte dell'esistenza nell'angosciante e inconcludente ricerca dell'ex ufficiale nazista che lo aveva umiliato in un campo di concentramento, Cheyenne, sconvolto e disorientato, decide di mettersi in viaggio attraverso gli Stati Uniti per continuare tale missione.
Il forte desiderio di recuperare la memoria e l'onore del padre ha la funzione di riabilitare la figura paterna, allontanata dal figlio a causa di persistenti ed errate convinzioni giovanili. Per il protagonista si tratta - secondo le intenzioni dello stesso regista - di un itinerario di formazione interiore e di crescita, dai toni controversi e trasognati, costellato di incontri che possono essere considerati come brevi storie all'interno della vicenda principale. Ogni confronto, perfino una conversazione con un perfetto sconosciuto in un classico bar americano, permette a Cheyenne di riflettere sul passare del tempo, sulla vita e su sé stesso, uscendo progressivamente da quel guscio di silenzio che, come un pesante fardello, lo accompagnava ormai da anni.
Inoltre, il viaggio è educativo proprio per il legame che instaura con la storia, in particolare con i tragici avvenimenti che sconvolsero il mondo intero tra gli anni '30 e '40 del Novecento, primo fra tutti l'Olocausto di milioni di ebrei. A mio avviso, il legame di questi drammatici eventi, appartenenti ad un passato non troppo lontano, con la vita di suo padre, riabilita in lui e negli spettatori la concezione della storia come insegnamento e come memoria individuale e collettiva.
E' altresì doveroso aggiungere qualche parola sulla musica, una costante in questo film – in linea con il filone cinematografico "Road movie" – e soprattutto di gusto rock – naïve, tra cui l'emblematica canzone dei Talking Heads, "This must be the place" che dà titolo al lungometraggio e le cui note accompagnano i momenti di maggior rilievo della vicenda narrata. Non a caso, in questa produzione, si occupa delle musiche proprio l'ex cantante della band anglo-americana, David Byrne, che figura anche nella pellicola, interpretando sé stesso.
Una delle caratteristiche che mi ha molto colpito, inoltre, è percepibile nello scorrere dei minuti del film e riguarda le inquadrature: sono predominanti primi e primissimi piani, focus su dettagli di oggetti, ma soprattutto sulle più piccole sfumature dello stato d'animo dei personaggi, che solo lo sguardo e gli occhi possono davvero rivelare.
In definitiva, il regista Sorrentino con "This must be the place", dai toni ora malinconici ora trasognati, presenta con dolcezza e intima profondità una storia inedita e drammatica, in cui trovano spazio aspetti e temi diversi. Nel lungometraggio la macchina da presa segue con riserbo i movimenti degli attori in scena, lasciando che lo spettatore si avvicini ad essi nel profondo, attraverso ciò che i loro occhi raccontano di sè.