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Muti dirige l'Attila all'Opera di Roma. La violenza incandescente delle passioni
Dal 25 maggio al 5 giugno 2012 al Teatro dell'Opera di Roma è andata in scena Attila di Giuseppe Verdi nell'incandescente interpretazione del maestro Riccardo Muti e con il nuovo allestimento di cui Pier Luigi Pizzi ha curato regia, scene e costumi. La presente recensione è riferita alla recita del 5 giugno accolta trionfalmente dal pubblico.
Attila, opera in un prologo e tre atti, andò in scena a La Fenice di Venezia il 17 marzo 1846, è la nona opera di Verdi e precede Macbeth (14 marzo 1847) che ha inaugurato la presente stagione del teatro; appartiene a quelli che Verdi definì gli anni di galera, in cui compose freneticamente per rispondere alla commissioni dei teatri.
Il libretto è tratto dalla tragedia Attila König der Hunnen di Zacharias Werner, un mediocre seguace dello Sturm und Drang, che attrasse irresistibilmente il giovane Verdi, trentenne, colpito dalla violenza selvaggia della vicenda e dei personaggi. Che Verdi fosse attratto dal romanticismo più cupo e gotico in cui regnano le passioni più estreme lo dimostrano, I due Foscari, composta da Byron (Roma 3 novembre 1844), quando già pensava a come impostare la drammaturgia di Attila, e poi successivamente Il Corsaro (Trieste 25 ottobre 1848), sempre da Byron, e pochi anni dopo I Masnadieri (Londra 22 luglio 1847), opera fosca e permeata di violenza estrema del giovanissimo Schiller, ancora studente.
Verdi fu un giovane uomo che visse pienamente il suo tempo, affascinato da Byron, come lo fu Schumann che mise in musica il poema Manfred. Verdi fu anche un drammaturgo, come si evince chiaramente da i suoi carteggi con librettisti, pensava sempre alla resa scenica della trama e dei caratteri sul pubblico, una visione in cui la drammaturgia determinava le sue scelte musicali. Le ormai logorate strutture del melodramma italiano cominciavano a stargli strette e già il finale di Ernani (Venezia 1844) a tre senza coro e concertato ne è una convincente testimonianza.
In Attila, per la prima volta, il musicista comincia a porsi il problema del contesto storico e della verosimiglianza anche dei costumi, consigliando, sia prima a Piave e sia poi al subentrato Solera di leggere, oltre al testo di Werner, De l'Allemagne (Sulla Germania) di Madame de Staël e chiedendo ad un suo amico scultore uno schizzo dell'incontro tra Attila e il papa Leone delle Stanze di Raffaello, con i dettagli riguardanti costumi e acconciature. Cominciò così a delinearsi anche il Verdi regista delle sue opere, che creò un legame strettissimo fra effetti musicali e visivi con le annotazioni minuziose in partitura, cosa estremamente invisa a chi oggi cura la regia.
Fu un'opera dalla lunga gestazione durante la quale compose anche Giovanna d'Arco (Milano 15 febbraio 1845) e Alzira (Napoli 12 agosto 1845). Nella sua ricerca di forme musicali diverse decise di comporre non un'ouverture, ma un breve e cupo preludio che significativamente apre la scena sul saccheggio di Aquileia, il finale a quattro senza coro e di non mettere la banda, rispondendo sprezzantemente a Piave, che la consigliava, che si trattava di una provincialata. Decisione non definitiva, in quanto c'è nel successivo Macbeth, un'opera più complessa che prelude al Verdi più maturo.
Il prologo si apre con gli Unni che accolgono il re vincitore: Attila, ruolo in cui Ildar Abdrazakov, basso, si è perfettamente calato e di cui ha reso l'audacia e la nobiltà con la sua voce morbida ma autorevole e potente. La scena è una breve introduzione che prepara ed esalta la scena dell'impetuoso arrivo di Odabella, figlia del governatore di Aquileia ucciso da Attila, a capo delle prigioniere che hanno combattuto contro gli invasori. Odabella, la cui entrata è di proverbiale difficoltà, fu confezionata per la gola d'acciaio di Sofia Loewe; l'esordio è travolgente e folgorante, degno di una fiera guerriera: la voce, con energia, in solo otto battute vola al do acuto sopra il rigo per precipitare poi giù sino al si sotto il rigo e poi svettare di nuovo, dopo una corona, la cui durata dipende dal fiato residuo. Un'entrata temeraria e pirotecnica risolta efficacemente da Tatiana Serjan, a suo agio soprattutto nella parte acuta, è un soprano con un'eccellente presenza scenica che le ha permesso di interpretare il personaggio con grande disinvoltura.
La successiva scena dello scontro verbale fra Attila e Ezio, un Nicola Alaimo convincente, mostra il generale romano che propone all'unno di allearsi insieme contro l'imperatore, le parole:”Avrai tu l'universo resti l'Italia a me.”: sono una proposta di tradimento sdegnosamente respinta da Attila, che però suscitò l'entusiasmo risorgimentale; in questo caso l'effetto fu voluto, a differenza della precedente opera veneziana, Ernani in cui il:”Si ridesti il Leon di Castiglia “ fu interpretato dal pubblico come: ” Si ridesti il Leone di San Marco.” suscitando un'ovazione. Certo si tratta di ammiccamenti al pubblico anche con la trama, che allude all'antica tradizione della fondazione di Venezia dopo la distruzione di Aquileia e con la presenza di cori patriottici; anche se la vera opera volutamente risorgimentale, di un Verdi più politicamente consapevole, è La battaglia di Legnano andata in scena a Roma durante la Repubblica romana (27 gennaio 1849).
La scena successiva con un'introduzione orchestrale suggestiva mostra i superstiti di Aquileia, decisi a reagire, guidati da Foresto, innamorato e disperato in quanto crede Odabella morta o prigioniera. L'atto successivo, immaginato cronologicamente dopo qualche tempo, inizia con l'aria di Odabella, un brano intenso che testimonia l'evoluzione della scrittura musicale di Verdi e si è rivelato perfettamente adatto alle qualità vocali di soprano lirico della Serjan. Sopraggiunge Foresto, furente, perché crede che lei lo abbia tradito con il re unno; la donna spiega che è rimasta per trovare il momento adatto per vendicare il padre uccidendo Attila.
C'è poi l'episodio celeberrimo dell'incontro con papa Leone, preceduto dal sogno premonitore, che getta nel terrore il condottiero unno. Dopo un tentativo di avvelenamento fallito per l'intervento di Odabella, risoluta ad uccidere Attila di sua mano, si chiude il secondo atto, con un lungo, complesso ed efficace concertato. Nel terzo la donna guerriera riuscirà a portare a compimento il suo proposito di vendicare il padre e l'opera si conclude con la sconfitta degli Unni.
Venendo alla rappresentazione al Teatro dell'Opera Roma, diciamo che è stata bifronte: la parte musicale è stata eccellente e il maestro Muti, che che fin dalla gioventù ha diretto quest'opera, ne ha reso magistralmente la violenza incandescente delle passioni, nei ripetuti scontri tra i quattro personaggi principali, e le parti più liriche, evidenziando tutte le sfumature e i colori contenuti nella partitura.
Benissimo il coro, sempre ottimamente preparato dal maestro Roberto Gabbiani, del cast di ottimo livello non abbiamo ancora detto, dell'interpretazione di Giuseppe Gipali, che ci è parsa vocalmente ad alti e bassi e ci ha lasciato perplessi, bene l'Uldino di Antonello Ceron e il Leone di Luca Dall’Amico.
Non abbiamo per nulla apprezzato la scena mastodontica e bicolore, bianco e nero, i due non colori estremi, che sebbene avesse allusioni alla Roma antica, era immersa in un'atmosfera espressionista degna del Wozzek. Tale scena soprattutto negli atti successivi al prologo, che si svolgono all'aperto o nell'accampamento unno, si è rivelata non funzionale: ridicolo mettere il coro stretto negli angoli nella scena dell'incontro con Leone e comunque sempre a disagio in scena negli spazi ristretti che gli sono stati riservati. Cosa che ha influito anche sulla breve coreografia del secondo atto, costringendo le giovani allieve della scuola del teatro, in cupo viola, a limitati movimenti per gli ostacoli presenti in scena.
I costumi banali sono stati sempre nei non colori, il solo rosso è stato riservato ad Attila dal primo atto e ad Odabella dal secondo. La regia ha riservato alcune chicche come la donne prigioniere condotte in camicia di forza davanti al re unno: perché? Forse si pensa che le donne che hanno la volontà di difendersi sono delle pazze? Maschilismo? Nell'insieme uno spettacolo opaco, sicuramente costoso, ma che ostacola la fruizione del dramma; ben diverso dallo splendido Macbeth dell'inaugurazione.