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Nada Malanima. L'abbraccio femminile della Grande Casa
Terremoti violenti, piogge tanto incessanti da sbriciolare le montagne si scatenano veementemente, prostrando gli esseri umani, rendendoli impotenti dinanzi all’imponderabile. Sono queste le suggestive immagini che, emblemi di una natura ostile all’umanità, percorrono quasi ossessivamente il romanzo La Grande Casa, di Nada Malanima, cantante dalla voce inconfondibile, edito da Bompiani e presentato lo scorso cinque giugno alla Fandango Incontro di Roma con l’intervento di Concita De Gregorio e Giancarlo De Cataldo.
La Grande Casa, immersa nel paesaggio della campagna toscana, funge da baluardo in cui trovare rifugio dalle forze devastanti di una natura qui simbolo del turbinio vorticoso dell’esistenza, in cui anche il sole si carica di risvolti negativi, diventando imprevedibile e devastante. In tale scenario si intrecciano, in un continuo andirivieni tra passato e presente, senza una trama lineare, le storie di tre donne d’eccezione, che hanno nella forza la loro caratteristica peculiare. Elke Richter può essere considerata la fondatrice della Grande Casa, in quanto lei, straniera, di ritorno a Corielba con un fardello carico di dolore, rileva una fornace e la trasforma in una villa, che possa essere un punto di riferimento per ogni anima segnata dal gioco della vita. Con continui flashback, si rievocano le vicissitudini di Elke, la perdita insopportabile prima dell’amato marito e poi del figlio, tutte sventure cui la donna reagisce aprendo se stessa agli altri.
Emilia si è ritrovata a cinquant’anni senza accorgersene. Aveva vissuto intensamente la vita che l’aveva delusa già in giovane età. Così viene presentata l’altro personaggio femminile, il cui nome è un omaggio alla poetessa americana Emily Dickinson.
Siamo all’inizio del romanzo, nel 2053, in quanto il testo è ambientato in un lontano futuro, recuperando però il nostro presente richiamando alla memoria eventi significativi del passato dei protagonisti. Ecco, infatti, che Emilia è una ragazza che insegue l’illusione di diventare una ballerina famosa, ma, lasciando la tranquilla città toscana per la Capitale, si perde nelle lusinghe del facile successo. A questo punto il riferimento è ad un’attualità tanto vicina a noi, al mondo effimero dei talent show, che regalano ingannevoli speranze: anche Emilia partecipa al programma dal nome significativo Stelle per Sempre, imbattendosi in personaggi negativi come Arrigo Arrighi, archetipo di ogni nefandezza morale. È facile, pertanto, scorgere i giovani di oggi nei ragazzi e nelle ragazze che si presentano al talent show, che, seppur cacciati, non si perdono d’animo, tornandosene a casa pronti per un’altra occasione: a decine, a centinaia, a migliaia, in un delirio collettivo.
A tal proposito segue una considerazione amara della voce narrante: dilagò un malcostume sempre più evidente. La prepotenza, l’egoismo, l’arroganza entrarono a far parte della vita della gente che s’impoverì nell’animo per raggiungere i modelli del successo e quell’ingannevole benessere che avevano sempre davanti agli occhi.
Questa è l’impietosa fotografia della nostra realtà che l’autrice ci restituisce con sguardo lucido e consapevole. Colpisce, inoltre, che la metropoli venga tratteggiata come un luogo di perdizione, proprio come ha sottolineato la giornalista Concita de Gregorio durante la presentazione del romanzo, in contrapposizione ai paesini della campagna toscana descritti, invece, come luoghi davvero autentici in cui i personaggi, affidandosi totalmente ai ritmi incessanti della natura, riescono a ritrovare se stessi. È sempre possibile, pertanto, anche in un’epoca di amoralità, di proteste, di violenza, trovare degli appigli per ricominciare realmente a vivere. Questo sembra comunicarci in filigrana l’autrice. Emilia, infatti, dopo essersi persa nei labirinti della Capitale, recupera il filo della sua vita solo quando ritorna a Corielba, entrando nella Grande Casa.
Di quando Gemma cominciò a parlare con gli alberi nessuno si ricordava più. Gemma è colei che, pur mantenendosi sullo sfondo, percorre sotterraneamente tutta la narrazione, destando l’attenzione delle altre, ispirando i loro pensieri e le loro parole. È un’ospite della Grande Casa, personaggio ammantato da un’aura di mistero, che conserva una grande capacità comunicativa con tutto ciò che la circonda, giungendo quasi ad una fusione panica con il mondo. Questo è il personaggio, tuttavia, a cui l’autrice sembra aver concesso la propria storia: in Gemma che, giovanissima, vince il Festival di Sanremo e viene catapultata in un mondo che non le appartiene, è facile scorgere riferimenti dell’autrice alla propria biografia, all’impatto devastante che il successo ha avuto sulla sua vita, al senso di solitudine che travolge ogni cosa. In questa sezione del testo di Nada emerge, quindi, quella parte di sé che gli altri non vedono, come afferma l’autrice stessa.
L’intreccio delle vite di queste donne, tutte sole, tutte che vengono, in qualche modo, abbandonate, così come la solidarietà che si innesca tra loro, è l’antidoto al dolore di cui sono malate, un dolore, tuttavia, destinato a stemperarsi, secondo il principio del divenire, dell’incessante trasformazione, legge naturale che regola, oltre all’alternarsi delle stagioni, anche la dimensione interiore dell’esistenza umana. E se dall’inverno si genera la primavera, la morte può, quindi, trapassare nella vita e la sofferenza può dissolversi nella serenità.