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Noah. Il mito dell'arca in un kolossal d'autore
In tempi bui la fede può essere l'unica luce. Una luce, talvolta, tanto forte da accecare. Il 10 aprile esce in Italia Noah, l'ultima fatica di Darren Aronofsky. Un progetto coltivato per anni e sfociato in un kolossal da 125 milioni di dollari in bilico fra autorialità e intrattenimento, che si interroga sul rapporto con la divinità offrendo una rilettura visivamente potente del mito del diluvio universale.
Il mondo è dominato dalla stirpe di Caino, ed è ormai un deserto di violenza e miseria. Nascosto fra le colline, Noè (Russell Crowe), l’ultimo discendente di Seth, il terzo figlio di Adamo, vive insieme alla moglie Naamah (Jennifer Connelly) e ai tre figli lontano dal mondo degli uomini. Una notte il Creatore gli rivela mediante un sogno che distruggerà la razza umana con un diluvio e che l’ha prescelto per mettere in salvo su un’arca tutte le specie animali. Confortato dal nonno Matusalemme (Anthony Hopkins), e supportato dai Vigilanti, gli angeli caduti trasformati dal Creatore in giganti di pietra, Noè accetta la missione e, assieme ai suoi cari, si getta nella realizzazione dell’arca. Da ogni parte del mondo giungono esemplari di ogni specie animale, attirando l’attenzione del re degli uomini, Tubal-cain (Ray Winstone), e del suo esercito. L’inizio del diluvio sarà la scintilla che innescherà la guerra per la sopravvivenza.
Noah è un kolossal “vegano” che nasconde una profonda urgenza autoriale. Il largo uso di scene di massa e di effetti speciali - resi ancor più speciali dalla loro giustificazione “animalista” - può far pensare all'ennesima spettacolarizzazione selvaggia made in Hollywood di un testo di grande rilevanza culturale. Ma non è il caso di Noah. Aronofsky non si è prestato alla committenza, benché abbia innegabilmente concesso qualcosa alla “vendibilità” del film. Al contrario, ha aggiunto un importante tassello al suo personale mosaico filosofico incentrato sul tema del rapporto con Dio e sul concetto di paternità.
A sette anni da The fountain – L'albero della vita, il regista newyorchese ritrae ancora una volta l'essere umano al cospetto del divino, senza offrire risposte certe in materia di religione (non si può definire Noah un film “cristiano”), ma ridisegnando interrogativi sui significati metafisici insiti nei rapporti umani.
Come in The Wrestler, in Noah Aronovsky rielabora la fascinazione del mito cristiano per raccontare la solitudine di un uomo mentre compie il suo destino. Un destino che gli si rivela solo attraverso il suo percorso come padre e che si realizza con la scoperta che la vera libertà risiede nella disubbidienza.