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Nosferatu. Il divoratore e la sua vittima
Il nuovo horror che Robert Eggers dedica a due capolavori sul personaggio del vampiro riprende il titolo dal film in bianco e nero del 1922 di Friedrich Wilhelm Murnau, Nosferatu, nome che in romeno significa "non morto". Oltre alla dedica implicita al Dracula di Francis Ford Coppola del 1992, si notano anche riferimenti a Vampyr di Carl Theodor Dreyer del 1932, tratto invece dalla raccolta di racconti di Joseph Sheridan Le Fanu dal titolo In a Glass Darkly (1872); nonché al Nosferatu di Werner Herzog del 1979 con Klaus Kinski nella parte principale.
Tra l'efferatezza del crimine assoluto e il rito satanico vero e proprio, oscilla questo rutilante horror dai toni bianchi e neri, sia nella pellicola, sia nel modo di riprendere, avec crudité, tutta la storia: il vuoto, il nulla, il male assoluto, la spregevolezza e la crudeltà, il disgusto e la persecuzione – della giovane fanciulla – sono gli elementi visibili ovunque nel film, dai ratti veri che diffondono la piaga della peste nera nel 1838 nel borgo di Wisburg, ambiente del film, fino alle prime sequenze rituali di un satanico vampiro dentro un cerchio magico pentacolare, una sequenza che rimanda ai riti di magia di Alistair Crowley.
I temi del sonnambulismo, dell'epilessia, della repressione e quindi perversione della sessualità femminile la fanno da padrone, e la figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis, ossia Lily-Rose Depp, impersonando la parte di Ellen (la Mina del Dracula di Stoker e del film di Coppola), ritrae un'adolescente-bambina che ne è preda assoluta ed inconsapevole. Fragile, romantica, sensibile e altrettanto "materica"; sottomessa ai propri impulsi senza alcun filtro della ragione, crede a tutto ciò che vede e soprattutto a quella rete invisibile di male che lei stessa evoca.
Il film è straziante, malefico all'ennesima potenza: i sacrifici sono nella trama, qui però prendono un'allure rituale che non lascia quasi nulla alla pietà, benché meno a quella del Professor Albin Eberhart Von Franz impersonato da Willem Defoe, che non ci pensa un attimo a sacrificare la giovane Ellen per uccidere il non morto.
Il Renfield di Dracula è qui Herr Knock, il bravissimo caratterista Simon McBurney: è Knock che invia Thomas Hutter, il suo apprendista agente immobiliare – il giovane e naïf nello sguardo Nicholas Hoult – all'inferno, ben sapendolo, sembrerebbe.
Per l'intera durata del film, le scenografie di Craig Lathrop e la fotografia di Jarin Blaschke costruiscono e riproducono su grande schermo un ambiente superlativo dal punto di vista delle atmosfere: l'horror vacui dello sperdimento nel nulla di Thomas Hutter, in mezzo ad un bosco sui toni nero-grigi, è qualcosa che permea lo spettatore fin nel profondo. La ripresa dell'ombra di Nosferatu tale quale da Murnau e la gigantografia delle mani adunche del "demonio" fa rabbrividire: ogni sequenza è curata al millesimo e la regia è del tutto calibrata sui ruoli dei personaggi e di Orlok, il cui make-up rende irriconoscibile il giovane Bill Skarsgård.
Una versione efferata e Grand-Guignol di un mito rinvenuto dal vero, da quel Vlad Țepeș rapito dal Re d'Ungheria Mattia Corvino, cui si deve la legge della vendetta, il vecchio orripilante diritto demonico a riparare i danni con le vittime inconsapevoli al di là del tempo e dello spazio. Quella "vis" che si ritrova nel nome del piccolo borgo dove vive la giovane coppia Hutter, ovvero Wisburg, sembra generare una potente violenza "divorante" che però aggancia solo piccole parti; per questo concludiamo con le parole di William Blake da The Marriage of Heaven and Hell (1791):
"Al divoratore può sembrare di tenere il produttore in catene, ma non è affatto così; egli afferra solo brani di esistenza, e gli pare il tutto." ("To the devourer it seems as if the producer was in his chains; but it is not so, he only takes portions of existence, and fancies that the whole").