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Nymphomaniac. La polifonia secondo Von Trier
Lo dichiariamo subito: questa è una recensione evidentemente di parte. Sarebbe bastato anche uno solo dei brani che Von Trier usa come colonna sonora, mai a caso, per convincermene. Bisogna andare sotto la patina, come consiglia Oscar Wilde in uno dei suoi celebri aforismi, ed a proprio rischio e pericolo. Nymphomaniac Vol. 1, non è affatto pericoloso per quello che si vede, bensì per quello che non vedrà mai uno sguardo superficiale.
I quattro minuti della canzone dei Rammstein iniziale, Führe mich, ovvero “Guidami” ed il testo, la dicono lunga su quanto sia in contrapposizione con il sottotitolo: “Forget about Love”: in realtà, Joe, la protagonista interpretata da un'eccezionale quanto calibrata (e odiosa a volte per la sua freddezza) Charlotte Gainsbourg, è ammalata di lussuria - è così che lei chiama la libido accentuata che la contraddistingue, e che fa diventare la sua vita una specie di gara al sorpasso, prima dell'amica, che ad un certo punto s'innamora rivelandole che: “L'ingrediente segreto del sesso è l'amore”, ma soprattutto con sé stessa: i dieci o venti partner al giorno, per cui non prova nessun sentimento, sono l'estrema difesa contro quel che succederà poi, e che in questo primo volume rimane ancora abbozzato.
L'estrema solitudine di lei (per sua stessa confessione durante il film) che, in un viottolo abbandonato, viene rinvenuta e ricoverata dallo sconosciuto Seligman – che in realtà vuol dire “benedetto”, tradotto dal tedesco, e non “felice”- la dice lunga su quanto la “ninfomania” del titolo sia appunto, come diagnosticato, una malattia provocata da tumulti psichici e caratterizzata da anorgasmia e frigidità. E qui sta invece la forte contraddizione del film: perché l'anorgasmia e la frigidità non si manifestano che con l'amore. Sembra quindi una sorta di specchio di molta sessualità maschile Joe, quasi un rivoltare al femminile quella che notoriamente e pregiudizialmente, viene determinata come sessualità maschile, per molti, non per tutti. Stabiliamo quindi che quello di Von Trier è un film sulla sessualità naturalmente, ma soprattutto su come ci si relaziona con essa. Sicuramente possiamo dire che non si tratta di un film erotico, e nemmeno di un porno, nonostante le riprese di rapporti completi e delle sfilate di “attributi” al maschile di tutti i colori (nel senso: da tutto il mondo). La protagonista infatti è antierotica per antonomasia: non solo, Charlotte Gainsbourg ma anche Joe giovane interpretata da Stacy Martin: anche lei anoressica, piatta e senza curve. Se per erotismo intendiamo un'apertura, una generosità, in termini di offerta, lei in realtà offre attraverso delle richieste esplicite, che solitamente sono già in territorio antierotico.
Se prendiamo infatti in prestito la concezione dell'erotismo di Umberto Galimberti, (Le cose dell'amore, Feltrinelli), il desiderio è retto da leggi non scritte, e soprattutto si muove su territori impliciti, su una comunicazione sottile, sostanzialmente su un trattato non scritto cui si aggiungono righe giorno per giorno, vergate dai due amanti. Sulla ninfomania, Galimberti si spinge ancora più oltre, asserendo che essa è soltanto una proiezione del maschile impaurito dall'aggressività sessuale, o promiscuità, o un'esplicita richiesta di prestazioni, da parte del femminile.
L'attenzione per la musica e la letteratura, poi, rende il film di una caratura intellettuale non per tutti: una delle prime citazioni non a caso viene dal genio di Kubrick in Eyes Wide Shut: ha adoperato lo stesso, famoso Waltz No. 2 di Dmitrij Šostakovič, quasi a dire, guardate dietro la maschera.
Un altro brano che sconvolge è quello di Bach: ha usato Ich Ruf Zu Dir, Herr Jesu Christ, che Tarkowskij in Solaris ha fatto risuonare nella scena della levitazione di Hari, mentre lui la tiene avvinta. Questo brano viene usato da Seligman per spiegare a Joe, - accolta a casa sua sul letto mentre gli racconta la sua storia -, di come si possano suddividere e categorizzare le sue ultime tre relazioni nelle tre voci della polifonia, ed inoltre contiene il dettame del Vangelo di Luca: “Sii compassionevole e non giudicare”, esattamente la posizione di Seligman, che si comporta come un confessore nei confronti di Joe, e senza frapporre una divisione di pensiero, ma ponendosi completamente in ascolto di lei.
L'ultima nota di merito – e per la colonna sonora è un giubilo al completo, come mi aspettavo e come ha fatto per Melancholia, la musica è un Leitmotiv in termini wagneriani – è per Edgar Allan Poe: il capitolo quattro, Delirio, racconta la morte di Poe, spesso preda di delirium tremens dovuto all'abuso di alcool, e con la citazione dell'avvicinamento del narratore alla casa Usher (dal racconto “Il crollo della casa Usher”), che è di per sé stessa riflesso, con la sua elevazione architettonica ed il suo stagno circostante, di quanto ci stiamo addentrando in territori pericolosi, gli unici che valgano la pena di essere varcati.