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Opera di Firenze. Il Nuovo Mondo secondo Mehta e Bollani
Zubin Mehta e Stefano Bollani: due straordinarie personalità artistiche che hanno ragalato al pubblico fiorentino uno splendido concerto venerdì 29 gennaio alle ore 20.00 al Nelson Mandela Forum a Firenze, nell'ambito della Stagione 2015/2016 dell'Opera di Firenze-Maggio Musicale Fiorentino, con musiche di Bernstein, Gerswhin e Dvořák.
Fra gli aneddoti più famosi della vita di George Gerwshin viene spesso citato quello riferito all'incontro che il compositore americano, già famoso ed acclamato, ebbe nel 1929 con Maurice Ravel. In quell'occasione alla richiesta di Gerswhin di avere lezioni dall'ancor più famoso compositore basco-francese, la risposta fu che "era inutile aspirare ad essere un mediocre Ravel quando già si era un ottimo Gerswhin."
Nel programma del concerto non era previsto Ravel, ma questa citazione è utile per creare due agganci. Il primo riferito ai due compositori, uno dei quali, Gerswhin, protagonista della serata. Ravel, oltre ad essere uno straordinario ed inimitabile orchestratore, non aveva mai nascosto il suo interesse per il jazz e senza dubbio Gerswhin, più o meno isitintivamente, sapeva che poteva trovare in lui un interlocutore in grado di capirlo ed aiutarlo ad esprimersi ancor meglio. Il secondo aggancio è riferito all'interprete, in questo caso Bollani. Chi ha ascoltato la sua registrazione del concerto in sol di Ravel, e chi scrive ha avuto la fortuna ed il piacere di ascoltarlo dal vivo, sa che la sua lettura esalta come nessun altro per ora ha fatto quelle caratteristiche jazzistiche nel fraseggio, negli accenti e nelle articolazioni presenti nella partitura. Con questa premessa un'interpretazione di Gerswhin, territorio nel quale il linguaggio non è velatamente ma chiaramente jazzistico, non può che essere esaltante.
Nel concerto fiorentino Bollani ha infatti intrepretato, sotto la direzione di Zubin Mehta, la Rapsodia in Blue di Gerswhin, una pagina immediatamente diventata inimitabile capolavoro nella quale, utilizzando la tradizionale forma del concerto per pianoforte ed orchestra (anche se nella versione iniziale era previsto un accompaganamento per jazz band) sono esaltati ed elevati a stilemi di valore assoluto proprio quegli schemi ritmici e melodici che fino a quel momento e per una certa parte della cultura musicale appartenevano ad un genere interessante ma non classificabile per pari dignità alle espressioni della musica cosiddetta “colta”.
La serata ha confermato che ascoltare Bollani è sempre e comunque un'esperienza entusiasmante. La Rapsodia è un brano con il quale prima o poi molti interpreti devono confrontarsi, non solo i pianisti “classici” ma anche i pianisti jazz e Bollani, che appartiene alla seconda categoria ed è in possesso di preparazione, doti tecniche ed interpretative di assoluto livello, ha regalato al folto pubblico del Mandela Forum un'interpretazione, come dubitare, impeccabile tecnicamente ma soprattutto curatissima, in virtù della frequentazione dell'esecutore con quel genere che era nel DNA di Gerswhin, esaltandone tutte le malizie ritmiche, le raffinatezze armoniche e la tipicità del fraseggio che in certe occasioni, nelle interpretazioni di altri pianisti spesso con blasoni importanti, non sempre sono messe così chiaramente in evidenza.
Suggerimento utile per comprendere ulteriormente la chiave di lettura che Bollani ha offerto è dato dalle sue osservazioni scritte nel libretto del concerto. Ricordando come nella prima esecuzione la parte del solista non fosse ancora stampata e Gerswhin al pianoforte sicuramente si prese delle licenze improvvisative (del resto plausibli e realizzabili per come è strutturata la parte pianistica), Bollani ha fatto capire che anch'egli avrebbe impostato l'esecuzione con delle licenze e piccole modifiche, cosa che ha fatto, con gusto e stile inappuntabili, rendendo ancora più interessante ed intrigante la sua esecuzione.
Anche in questa occasione è emersa la straordinaria capacità di Bollani di trasmettere all'ascoltatore una sensazione di apparente semplicità e ovvietà di quanto eseguito, caratteristica dei grandi interpreti che hanno una visione chiarissima di quanto stanno affrontando, supportata in questo caso da una sensibilità, da una tecnica e da un controllo del suono raffinatissimo ed inconfondibile. Entusiasmo del pubblico che affollava il Mandela Forum e, come sempre accade con Bollani, scambio di battute con l'uditorio e concessione di bis che in pratica hanno costituito un'appendice al programma stampato (eseguiti con Mehta seduto ad ascoltare fra gli orchestrali): un'affascinante rilettura ed interpretazione di due brani celeberrimi di Gerswhin, Summertine e But not for me ed un brano trascinante tipicamente “bollaniano” (iniziato con le note di Per Elisa di Beethoven...) ispirato a “Tico-tico” ma diventato poi un torrente inarrestabile di variazioni ritmiche, melodiche ed armoniche.
Il concerto non è stato aperto dalla Rapsodia. In sintonia con la scelta di un programma che ha voluto privilegiare musica appartenente in qualche modo alla cultura americana, il primo brano proposto è stato l'Ouverture del Candide di Leonard Bernstein, altro grande autore-interprete-direttore americano che, con la scrittura di West Side Story e appunto Candide, ha in un certo senso raccolto il testimone da Gerswhin in un genere che, dopo la creazione di Porgy and Bess, era qualcosa che non era né melodramma né musical. L'ouverture del Candide è breve ma, come spesso accade in Bernstein, condensa in poche battute idee melodiche interessanti e ritmi nervosi e travolgenti. Zubin Mehta ha diretto questa breve pagina con la conosciuta sicurezza e cura, assecondato dall'orchestra e creando un mood perfetto per introdurre il magico mondo della Rapsodia.
Interessante aggancio alla musica americana o per lo meno quello che rappresentava la sua cultura agli occhi degli europei la proposta, nella seconda parte, della Sinfonia n. 9 in mi minore dal Nuovo Mondo, op. 95 di Antonín Dvořák. Dvořák, dopo un soggiorno di tre anni in America, compose questa sinfonia nella quale è inconfondibile il suo stile e la sua visione timbrica, ma sono altrettanto riconoscibili schemi ritmici puntati e sincopati ed intervalli desunti da scale minori naturali e pentatonali che aveva scoperto appartenere, così scrisse, alla cultura dei pellerossa e degli afroamericani. La sinfonia appartiene alla categoria di brani fra i più conosciuti ed amati dal pubblico, anche non assiduo frequentatore delle sale da concerto. In occasione di un'altra recensione avevamo paragonato Mehta ad un vecchio leone saggio e rassicurante, che dall'alto della sua esperienza conduce con pari tranquillità i giovani del branco nell'affrontare le difficoltà nel cammino. Anche in questo caso ha trasmesso questa sensazione, docilmente assecondato da tutta l'orchestra.
Al termine dell'esecuzione la sensazione diffusa che si è percepita durante le ripetute chiamate è stata non solo di gradimento ma anche di gratitudine ed affetto nei confronti del Maestro, sia da parte del pubblico come dei professori d'orchestra. Una consapevolezza di aver avuto l'opportunità ancora una volta di essere partecipi di un evento che non sarà dimenticato.