Supporta Gothic Network
Opera di Roma. Amore e Morte secondo Giordano
Al Teatro dell'Opera di Roma torna Andrea Chénier di Umberto Giordano con un cast di prima classe: Gregory Kunde nel ruolo del poeta rivoluzionariodel titolo; Roberto Frontali in quello del giacobino Gérard e Maddalena interpretata da Maria José Siri. Due direttori sul podio: Roberto Abbado per la prima del 21 aprile e tutte le recite fino a lasciare il posto a Pietro Rizzo per l'ultima del 2 maggio. Alla regia il noto Marco Bellocchio che è alla sua terza opera lirica dopo Rigoletto e Pagliacci.
Da 42 anni non tornava all'Opera di Roma Andrea Chénier il cui libretto Giordano affidò a Luigi Illica: tanto il tempo intercorso dall'ultima rappresentazione del febbraio 1975 con Oliviero De Fabritiis sul podio e Tassoni alla regia delle voci di Gianfranco Checchele, Ilva Ligabue e Piero Cappuccilli che si alternava con Renato Bruson.
La storia vera del poeta Chénier condannato dal Terrore alla ghigliottina, che è stata ampiamente rimaneggiata nell'opera, ci presenta Chénier che alla vigilia della Rivoluzione Francese le intona un inno al posto di una poesia richiesta dalla Contessina Maddalena di Coigny in un meraviglioso salotto aristocratico – gli ultimi fasti dell'inverno 1789 -, ed è questo l'incipit di un testo musicato con elaborazioni raffinate e partecipate, di grande trasporto a cominciare dalla lamentosa e irata poi voce di Gérard, un eccellente Roberto Frontali nella lirica "Son sessant'anni, o vecchio, che tu servi". Gérard è il grande oppositore di Chénier che solo alla fine lo comprenderà fino ìn fondo: il servo cresciuto dal padre da cui ha ereditato il mestiere nella casa della Contessa di Coigny, e da sempre innamorato della Contessina Maddalena, ha un empito di rabbia e ribellione per lo sfruttamento da sempre subito di generazione in generazione, che con la scena dei mendicanti nello splendido salone allestito da Gianni Carluccio, sostiene l'ultimo clamore promettendo all'aristocrazia che “è l'ora della morte!” Solo il Coro che intona “O pastorelle, addio” sull'uscita del leggiadro balletto curato da Massimiliano Volpini, permette una minima consolazione.
Con il poeta siamo su un altro livello, sia come relazione con la Contessina “stretta nel suo corsetto”, sia per la lirica appassionata e rivoluzionaria che le dedica, dando ragione di ciò che sta avvenendo e che i nobili vogliono occultare; sia della profonda vena appassionata che poi rivelerà nel secondo quadro. Gregory Kunde non ha bisogno di presentazioni però lo troviamo più “caldo” dal secondo atto, anche con il bravo Rouchet intepretato da Duccio Dal Monte, molto convincente nella parte dell'amico del poeta.
La piazza della Rivoluzione vede una busto di Marat - presidente del Club dei Giacobini che fu assassinato dalla girondina Charlotte Corday nel 1793, un anno prima di quando fu ghigliottinato Chénier -, ed il poeta Chénier, che viene esortato a fuggire dall'amico Roucher ma rimane per il bigliettino di Bersi – la mezzosoprano Natascha Petrinsky che recita il ruolo della cameriera di Maddalena di Coigny – che gli consegna il bigliettino di una misteriosa sconosciuta per un incontro. Apriamo una parentesi: Chénier storicamente scrisse una poesia dedicata a La jeune captive (La giovane prigioniera) che però gli rimase ignota e che lui incontrò nella prigione prima dell'esecuzione. Nell'opera di Giordano corrisponde a Maddalena di Coigny di cui si scopre innamorato Chénier e che nella commovente “Come un bel dì di maggio” le dedica: “col bacio io d’una rima, carezza di poesia, salgo l’estrema cima dell’esistenza mia”; e nel duetto tutto imperniato sull'”Amore e morte” che la Maddalena di Maria José Siri interpreta con grande trasporto.
Quel sintomo apertamente romantico di unione col fato che condanna alla morte, apertamente messo in scena da Marco Bellocchio dal terzo quadro con una gigantica lapide di marmo bianco con la scritta “La liberté ou la mort” e che nell'ultimo quadro sarà solo una bianca lapide di morte, spiega concretamente come si possa tradurre una rivoluzione in una camera mortuaria in cui quel “Nemico della partia” di cui parla Gérard, divengono tutti, condannati inesorabilmente da un cinico tribunale del popolo che si arroga il potere per non perderlo.
Ben rodata l'orchestra su questo opera che Pietro Rizzo ha condotto egregiamente evidenziandone tutte le sfumature più perlate, insieme ad un'intensa drammaticità di fondo, in pieno accordo con il Coro di Gabbiani.
Rappresentazione in coproduzione con La Fenice di Venezia che ha raggiunto il cuore del pubblico che ha applaudito a scena aperta e con grande ritorno nel finale.