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Opera di Roma. Il flauto magico ai tempi del cinema muto
Il flauto magico della Komische Oper di Berlino è approdato, cinematograficamente, all'Opera di Roma, ed ha sbaragliato tutti i benpensanti che credevano non si potesse fare uno spettacolo nuovo di una delle opere piu' divertenti, orecchiabili, melodiosamente affascinanti del genio di Amadeus. Ed invece si: Barrie Kosky e Suzanne Andrade alla regia ed i meravigliosi, variopinti video anni '20 di Paul Barrit, insieme ad un cast di prima categoria ed all'attentissimo direttore ungherese (che conosciamo invero) Henrik Nánási, hanno fatto il miracolo, ed anche la signora, di solito annoiata, in terza fila, ha riso e si è divertita durante lo spettacolo.
Diciamolo subito infatti: qui si tratta di spettacolo prima di tutto, non solo un Singspiel (parlato-cantato) ma un'idea variopinta tra Mozart e Schikaneder che ha scritto il libretto e recitato la parte di Papageno alla prima nel “suo” Theater auf der Wieden a Vienna il 30 settembre 1791. Un'opera di divulgazione per tutti, di propaganda massonica chiaramente, e dei suoi valori piu' aulici, come rappresentati appunto dal mago Sarastro, contrapposti all'egoismo, in questo caso sinistramente femminile della Regina della Notte, un tempo sua sposa. Certo, di misoginia è circonfuso ma altrettanto di spirito gioviale – Papageno e Papagena; Tamino e Pamina – ben intrisi di giovane età ed innocenza, contrapposti al qui draculesco Monostatos, uscito a passi felpati da Nosferatu (1922) di Murnau. D'altronde il trio di ideatori si chiama 1927, ritraendo quindi la fine del film muto coll'avvento del sonoro: un omaggio visivo a ritroso nel tempo a tutto quel che era stato prodotto, soprattutto in Germania, a cavallo tra la fine della Grande Guerra e la salita di Hitler al potere.
Gli anni '20 ci sono tutti come anchei tocchi a colori e nelle forme del nostro Emanuele Luzzati: dal Vaso di Pandora di Pabst del 1929, con una Louise Brooks che viene ritratta tale quale da Pamina, come dai tocchi alla Metropolis di Fritz Lang per quanto riguarda Sarastro, mente accessoriata di rotelle, fili, meccanismi, grande emblema della razionalità e della saggezza.
Gli attori-cantanti, in questo caso hanno dovuto sottostare ad un training “frame by frame” davvero, sono stati magnifici nell'entrare ed uscire dalle porte girevoli, nell'adeguarsi a mimare e a far finta esistessero personaggi e animali che erano solo proiettati, ombre cinesi e cuori schioppettanti, nonché le affilatissime lame delle oblunghe zampe della Regina della Notte aracnide gigante.
Le voci: a cominciare dalla deliziosa Pamina di Amanda Forsythe, calda, amorevole, simpatica nel suo sottostare alle leggi del cinema, ben affiatata col suo Tamino sempre un po' in ritardo di testa ma affascinante e suggestivo, nonché accorato Juan Francisco Gatell – cast che conosciamo e su cui contiamo da anni -; la Regina, la brava Christina Poulitsi avvolta in un baco da ragno, è stata ben sostenuta anche dal suo avversario Gianluca Baratto e dal Monostatos vampirico di Marcello Nardis; brave le tre dame-streghe Julia Giebel, e le due artiste di Fabrica Louise Kwong e Irida Dragoti.
L'Orchestra ha dato del suo meglio con l'ungherese Nánási, e così il Coro diretto da Gabbiani in uno spettacolo veramente per tutti, coloratissimo, pieno di verve, nuovo e che, siamo sicuri, porterà sempre piu' gente a teatro come succede in Europa. Applausi di dieci minuti a tutti i protagonisti, meritatissimi.