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Opera di Roma. La masnada romantica secondo Verdi
Tornato al Costanzi dopo quasi 50 anni, dalla prima del 25 novembre del 1972, I Masnadieri è uno dei titoli più rari di Giuseppe Verdi, a volte anche affossato dalla critica in senso spregiativo, come opera “riuscita male”, si presenta al Teatro dell'Opera in una nuova veste con Roberto Abbado sul podio, il regista Massimo Popolizio ed un cast ben assemblato tra i cantanti, grande protagonista il Coro dei Masnadieri, diretto come sempre dal Maestro Roberto Gabbiani.
Opera difficile e considerata anche minore dai critici, I Masnadieri di Verdi dal testo romantico di Friedrich Schiller Die Räuber, scontano l'ineludibile ostico libretto di Andrea Maffei, provetto traduttore che per la prima volta, amico di Verdi, si cimentò con evidente insuccesso, nella stesura di un'opera cantata.
Composto da Schiller settant'anni prima nel 1781, è aperto manifesto dello Sturm und Drang che con inusitata potenza imperversava in Germania, seguito poi da quello inglese, sicuramente più pacato, se non si conta il preromantico William Blake, e le tempestose tele di Turner. Probabilmente quelle dovevano essere di ispirazione a Sergio Tramonti, e non solo le nere tele gotiche che ha usato soprattutto ispirato dal “diabolico” Francesco che, da bravo baritono, ha recitato nella parte più potente, ovvero il polacco Artur Ruciński, meravigliosa figura di villain, che nella scena terza fa già “Tremare la sua lampada vitale”. Insieme al sogno (o meglio, l'incubo) ed alla richiesta di perdono al pastore Moser – interpretato con profondità e giusta fermezza dal basso Dario Russo -, sono i momenti di più grande fascino (malefico, il va sans dire).
Il tenore che recita Carlo, il fratello tradito e aggregatosi ai Masnadieri (“masnada” appunto di criminali che infestano la Germania nel '700 in originale, qui retrodatati al Medioevo da Popolizio, che sia nella regia, sia nell'adattamento, sembra aver fatto un debole debutto all'opera – è incarnato dallo spagnolo Andeka Gorrotxategui che, senza particolari pregi, ha dato una buona prova della sua parte di figlio in esilio per l'inganno del fratello (sembra di ritrovare l'Edgar figlio del Duca di Gloucester e fratello del “bastardo”, figlio illegittimo Edmund; tutto tratto da Re Lear, sembra così ricalcarlo).
La fidanzata di Carlo, Amalia, rimasta col re padre Massimiliano, è una straordinaria Roberta Mantegna soprano diplomatasi nella prima edizione di “Fabbrica” Young Artist Program dell’Opera di Roma, e che abbiamo potuto apprezzare già nella parte di Maria Stuarda del titolo lo scorso anno.
Lei, insieme al padre adottivo Massimiliano, sofferente, saranno ingannati da Francesco, interessato solo al patrimonio (come Edmund in King Lear) e il basso Riccardo Zanellato, si è perfettamente calato nella parte del Conte di Moor allo stremo, e pentito per aver cacciato quel ch'era il “figliol prodigo”.
Grande parte del Coro dei Masnadieri che però non vengono mossi in scena, presentandosi sempre tutti uniti senza rivestire quel ruolo così “agitato” che invece dovrebbero personificare attraverso l'incredibile possanza della violenza (Le rube, gli stupri, gl'incendi, le morti, atto II scena 10); eppure, diretti con grande sicurezza dal Maestro Gabbiani, che ha lavorato di sprone e d'accordo col Maestro Roberto Abbado, infondendo colore e vigore al canto, all'Orchestra tutta fino al pubblico che ha saputo ben apprezzare il lavoro globale.