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Pan. La lussureggiante energia dei sogni
Girato in un vero 3D, Pan viaggio sull'isola che non c'è è diretto da Joe Wright, che abbiamo già visto in Orgoglio e pregiudizio (Pride and Prejudice, 2005), Espiazione (Atonement, 2007) e Anna Karenina (2012): tutte e tre tratti da opere letterarie: il primo dall'omonimo romanzo di Jane Austen; Espiazione da McEwan e Anna Karenina da Tolstoj. Questa volta si è imbattuto in James Matthew Barrie, che ha creato il personaggio-mito di Peter Pan nel 1902.
Pan, nella tradizione greca il dio dei boschi dotato di syrinx o siringa, quello che viene chiamato appunto “flauto di Pan” e di cui viene dotato il pargolo prima di essere abbandonato dalla madre Mary (Amanda Seyfried, che si vede però per dei camei) sulle scale di un orfanotrofio: la Lambeth School for Boys dentro i Kensington Gardens, dove per tradizione si rifugia il Peter Pan di Berrie.
Diretto da Wright con ritmo, una perfetta storyboard che non stanca mai nei suoi passaggi, costumi firmati dal Premio Oscar Jacqueline Durran, con cui aveva lavorato per Anna Karenina; scenografie con set per lo più reali, un profluvio di colori; alcune chicche musicali che hanno un motivo ben preciso (approfondiamo tra poco); la recitazione calibrata del personaggio principale al suo debutto cinematografico in una major, il piccolo Levi Miller, è perfetto per il ruolo di Pan; Barbanera interpretato da Hugh Jackman è spietato quanto convincente nella sua parte; nondimeno Rooney Mara è magnificamente abbigliata e truccata e recita scene di azione dopo svariati addestramenti in maniera sincronica e da vera indiana; un film che di pecche ne ha veramente poche e può piacere sia ad adulti sia a bambini, che erano stati invitati all'anteprima ed hanno decisamente apprezzato insieme ai loro genitori.
Ci sono tre parti in cui si può suddividere il film: la prima è la Londra di inizio Novecento, nebbiosa e carica ancora di quello sfruttamento minorile storicizzato che ha reso famoso Dickens con i suoi romanzi, da David Copperfield a Oliver Twist. La seconda è il viaggio verso L'isola che non c'è insieme ai “lost boys”, i ragazzi perduti prigionieri come lui del pirata Barbanera. La terza parte è la scoperta che si tratta di un prequel in cui abbiamo Uncino (il bel Garrett Hedlund) con ambo le mani, e Spugna (divertente nella parte Adeel Akhtar). E qui, sull'Isola che non c'è, iniziano le vere avventure del bimbo alla ricerca della mamma perduta tra fate, pirati e indiani.
L'arrivo sull'Isola che non c'è è in volo ed appena atterrano tutto il cast con Hugh Jackman in testa intonano la versione corale di Smells Like Teen Spirit (scritta da Kurt Cobain, David Grohl, Krist Novoselic e prodotta in questa versione da John Powell, Matthew Margeson & Dario Marianelli): mette letteralmente i brividi ed introduce uno sfondo di critica sociale, il verso “entertain us” è chiaramente riferito alla macchina da consumo dell'entertainment, una metacritica che si dirigerà poi anche contro lo sfruttamento senza freni della terra (le miniere di Pixum). Più tardi sarà seguita da uno degli inni dell'american punk: Blitzkrieg Bop dei Ramones, sempre performato da Jackman e dal cast (scritta da Joey Ramone, Dee Dee Ramone, Johnny Ramone, Tommy Ramone; prodotta in questa versione da John Powell, Matthew Margeson & Dario Marianelli). Sulla musica John Powell è bravo, senza raggiungere però i vertici di Dario Marianelli che qui compare solo nella produzione di alcune cover, e che invece con Anna Karenina aveva fatto aggiudicare un Golden Globe per le colonne sonore. Una lode finale per le scenografie di Aline Bonetto: coloratisisme e lussureggianti e per il trucco di Ivana Primorac. Un film dove il sogno si trasforma in un'energia continua dalle plurime forme.