Supporta Gothic Network
Perla al Teatro dei Documenti. L'erotismo della Fede
Un nome che evoca trasformazione nella cangiante luce che la investe, nomen omen, Perla al Teatro dei Documenti di Roma dal 26 aprile al 15 maggio 2011, si presenta sulla scena attraverso il corpo e la voce di Domitilla Colombo, con l’allestimento scenico di Carla Ceravolo e la regia e i testi di Anna Ceravolo. Una produzione Associazione Teatro di Documenti per un trio di episodi dedicati ad una donna sola in fondo che riveste le tre parti di Santa, Regina ed infine di strega in uno straniante grammelot.
“La vita non trova che la sua grandezza e la sua realtà che nell’estasi e nell’amore estatico”, questo afferma Georges Bataille (1897-1962) in Il labirinto (tit. orig. Le Labyrinthe (1935-36), tr. Sergio Finzi, Il labirinto, SE, Milano 2003, p.30), e questo odiamo dalle parole scandite “cum patimento” dalla nostra prima eroina: la Santa.
Terrorrizzata e perseguitata da un Monsignore che si rifiuta di accordare il giusto peso alla sua trascendenza ed alla sua “unione con il Signore”, ovvero una comunicazione profonda data dalla fede, cerca di torturarla – i bravi mandati a batterla probabilmente da lui – e nullificarla. Ma noi sappiamo che: “Nelle religioni universali, quali il cristianesimo e il buddismo, il terrore e il tremore preludono alle estasi di una vita spirituale ardente”, ed infatti la nostra Perla nonostante la testa rotta, le flagellazioni per i propri (presunti) peccati, continua ad avere fede, pur cominciando a nutrire qualche dubbio sulla veridicità di ciò che dice il sacerdote, ovvero la sua mancanza di fede “in lei”. Il “nulla” che vuole far esperire alla credente con le stigmate, però lo porterà altrove, infatti: “Non v’è sentimento capace di gettare nell’esuberanza con forza maggiore di quella del nulla. (…) L’esuberanza è il superamento della prostrazione, è la trasgressione” (L'Erotisme (1957), tr. Adriana dell'Orto, L'erotismo, ES, Milano 1997, p. 67). Questo è dovuto al fatto, ed è per questo che abbiamo usato Bataille e una delle sue opere fondamentali, ovvero L’erotismo, - che analizza quante correlazioni a livello contenutistico, filosofico, linguistico abbiano l’estasi religiosa e quella erotica -, che alla base dell’estasi religiosa vi è la trasgressione: i santi, proprio come gli uomini sono trasportati da Eros (enthemos dicevano i greci, ovvero gli dei dentro di sé aveva l’uomo innamorato e trasportato dal desiderio), e guidati dal desiderio, ovvero da un “impulso capriccioso” (op.cit. p.238).
“Il tempo sacro è il tempo della festa (…) quello della trasgressione dei divieti. (…) Sul piano religioso (…) è il tempo del sacrificio, che è la trasgressione del divieto dell’omicidio” (Ibid): ecco perché ciò che farà la Santa, con un’estrema illuminazione intorno a sé delle sfavillanti luci delle sue quattro mura – un allestimento del tutto metaforico e coerente oltreché affascinante nel suo limpido rigore -, è perfettamente coerente con la religione e le stimmate che lei professa, ecco perché lei non può ammettere – attraverso il patimento offerto dalla fervente interpretazione di Domitilla Colombo – che il Monsignore la accusi di mentire sul suo rapporto mistico con Dio, di fatto negando ciò che prescinde dal permesso degli uomini e della loro legge, che sia anche quella della Chiesa. “Il sacrificio è, al pari della guerra, sospensione del divieto dell’omicidio, costituisce invece l’atto religioso per eccellenza” (ibid, p.79) che la Santa ha perpetrato intendendo perfettamente il senso della sua mistica che prescinde soltanto dall’ordine del “sacro”, ben diverso da quello degli uomini (cfr. anche Il caprio espiatorio di René Girard, Adelphi Edizioni, Milano 1987, tit. orig.: Le bouc émissaire (1982), traduzione di Christine Leverd e F. Bovoli).
Il conflitto per il potere è di ben altro stampo, e la faraona regina di provenienza orientale, come ci dice il sole rosso come suo stemma, si consegna al suo mandato con dignità e volontà precise, cui si atterrà con zelo e coerenza. Una sorta di dispotismo illuminato, à la Voltaire per intenderci, guida le azioni della Regina anche contro colui che ama – il marito - e corrompe il proprio regno con la sua condotta illecita e non etica: un parallelo piuttosto efficace con le odierne questioni concernenti le accuse di prostituzione minorile e favoreggiamento della prostituzione dell’attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La Regina, emblema dell’autorità del regno che conduce, deciderà che le colpe di cui si è macchiato il marito vanno lavate col sangue e che l’atto sarà nella sua piena e lucida responsabilità, non per mano di altri. Questa lotta per la dignità morale della donna, per la sua reputazione, perché continui a meritare l’incarico di potere che le spetta, è trasgressivo ed edificante allo stesso tempo: frapponendosi ad una retorica maschile che tuttora nega le posizioni di potere al femminile che risulta invece integro e responsabilmente etico rispetto al maschile, corroborandosi col principio che “il potere deve andare a braccetto con la giustizia”.
Il terzo episodio ci presenta un’originale coniugazione linguistica di lingue e dialetti completamente inventata dall’autrice dei testi e della regia Anna Ceravolo: un grammelot con inserti comaschi, ma anche di altre lingue europee, fondato su un anarchismo lessicale che anagramma le parole e, riformulandole daccapo, permette alla musicalità del testo di elevarsi a ruolo principale, stimolando il pubblico ad usare l’intuizione e le conoscenze arcaiche come loro guida per la gnosi del parlato.
La Strega, sulla falsariga delle prelibate commedie di Dario Fo e Franca Rame, riproduce un altro dei proverbiali pregiudizi con cui sono state condannate le donne della storia ed il divieto all’appropriazione della conoscenza scientifica.
La donna, umile levatrice che s’intende di erbe guaritrici ed è zoppa, viene accusata di stregoneria dietro denuncia di un uomo che voleva carpirgli i suoi segreti: torturata, confessa l’omicidio – e ricordiamo Beatrice Cenci (1577-1599), sottoposta alla stessa tortura della corda e poi giustiziata sulla Piazza antistante Castel Sant’Angelo, per aver ucciso il padre dal quale fu violentata e maltrattata per anni –. Non pentita anche lei, Domitilla Colombo, offre un’interpretazione financo musicale in quest’ultimo ruolo – e ne lodiamo il perfetto camouflage nelle diverse parti – che come gli altri è stato accompagnato dalle fluide note originali dell’arpista dal profilo preraffaellita, Silvia Minardi, che ci ha deliziato nei passaggi itineranti – guidati da una maschera nera con tanti occhi e bocche aperte e divoranti - e con un assolo nel palcoscenico centrale, dove i nostri pensieri si son rfilessi nel bianco cangiante e avviluppante del teatro.