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I pilastri della società di Ibsen. Scene di menzogna e ipocrisia borghesi
Assistendo alla rappresentazione del dramma di Henrik Ibsen I pilastri della società, in scena al Teatro Argentina di Roma dal 20 novembre al 22 dicembre 2013, è riaffiorata nella mia mente la celebre definizione che diede Italo Calvino di un classico, un libro che a distanza di anni rivela significati di grande attualità per la comprensione di noi stessi e del mondo in cui viviamo.
Con la magistrale e ammirevole regia di Gabriele Lavia, che interpreta in modo straordinario il ruolo del Console Bernick, personaggio centrale in questo dramma di Ibsen pubblicato nel 1877, sulla scena con I pilastri della società viene mostrata la grande capacità di questo autore di svelare le contraddizioni della natura umana, sospesa tra l'ipocrisia dominante nella società ed i tormenti interiori degli uomini, dovuti alla consapevolezza delle azioni riprovevoli compiute in passato.
Nella prima scena compare un gruppo di signore della ricca borghesia norvegese della seconda metà dell’Ottocento che, in un fastoso e ricco salotto decorato con gusto ricercato, alla presenza del professor Rørlund, rettore della scuola della città, leggono testi religiosi e meditano sui fondamenti morali della società umana, aiutati dalla lettura di libri impegnativi.
Mentre le signore si abbandonano alla conversazione pettegola, rievocando gli scandali in cui sono stati coinvolti i familiari del Console Bernick, uomo ricco e potente e proprietario della casa dove si trovano riunite, nella stanza accanto risuonano le parole concitate di un gruppo di uomini di affari. Subito dopo, mentre il dramma si sviluppa facendo emergere la storia che ne costituisce l’essenza narrativa, nel salotto compare il Console Bernick ed altri uomini di affari. In presenza della famiglia, annunciano che hanno trovato un accordo per costruire la ferrovia che dovrà modernizzare la città e favorirne lo sviluppo economico. Il console Bernick, proprietario dell'industria navale, è l’uomo che ha il dominio sulla vita economica della città norvegese. È potente, influente, e si presenta al cospetto della società come un uomo che ha sempre agito per il suo progresso morale ed economico.
A sconvolgere la sua vita di rispettabile e ricco borghese, impegnato a perseguire i suoi ambiziosi disegni di imprenditore, è il ritorno del fratello di sua moglie Betty, Johan Tønnesen. In gioventù il console Bernick, mentre sua madre era malata, aveva avuto una storia d’amore con una giovane ed avvenente attrice. In seguito a questo storia sentimentale, il marito dell'attrice, dopo avere scoperto la verità, si era suicidato, mentre la donna, sopraffatta dal dolore, era sprofondata nella disperazione, morendo in miseria.
Il giovane Johan si addossò la responsabilità dell’adulterio, e per coprire le responsabilità morali del console Bernick, decise di emigrare in America con la sorellastra Lona Hessel. Una volta ritornati in patria, il console Bernick, trovandosi davanti il giovane Johan Tønnesen, teme che la verità possa riemergere dal passato e costringerlo ad affrontare le conseguenze della proprie azioni riprovevoli. Questo episodio nel dramma di Ibsen mostra come il console, uomo abituato a vivere in un mondo borghese dominato dall'ipocrisia, sia stato indotto dal suo ambiente e dalla sua educazione a basare la sua intera esistenza di uomo e di imprenditore sulla menzogna e sulla apparenza.
Proprio mentre sta per concludere l’affare per la costruzione della ferrovia, che lo dovrebbe fare diventare ancora più ricco ed influente nella sua città norvegese, si trova a confrontarsi con le colpe rimosse della sua giovinezza. Discorrendo con grande sincerità con Lona, la donna che è fuggita in America insieme con Johan, le confessa il suo amore sincero e ammette di avere sposato sua moglie Betty per puro interesse, poiché aveva bisogno della sua dote per impedire e scongiurare il fallimento della sua impresa, ereditata dai genitori. Poi, sempre durante questa conversazione, in un dialogo memorabile per la sincerità e la chiarezza di pensiero, il Console Bernick riconosce di essere un uomo che ha sempre vissuto nella menzogna, pur di diventare ricco, potente ed influente.
La società in cui ha vissuto e lavorato come imprenditore, gli appare mediocre, vuota, ipocrita e ignorante. Con una frase di grande forza espressiva, mentre il suo animo è in preda al turbamento, il console Bernick dichiara che la politica nel suo Paese è corrotta, poiché la società non è immune dal vizio della corruzione.
Lona, mostrandogli le lettere che lo incolpano e che ha ricevuto da Johann, che ha deciso di ritornare in America con la giovane Dina Dorf di cui si è innamorato, afferma con grande lucidità che una società basata sulla menzogna e sull'apparenza non può essere libera, poiché la libertà umana deriva dal rispetto che si deve alla verità.
Nel dramma sono notevoli i dialoghi tra il console Bernick ed il capocantiere Aune, che mostrano in modo esemplare il conflitto di classe tra la borghesia ed il proletariato. Ovviamente Lona, per impedire che lo scandalo possa compromettere la reputazione del Console Bernick, distrugge le lettere di Johan, che ne provano la colpa. Nella parte finale del dramma, mentre in città il console Bernick è festeggiato per la lungimiranza delle sue imprese economiche, destinate a modernizzare la società, si ha una sorta di agnizione finale.
Il console Bernick, in presenza dei suoi cittadini, pronuncia un lungo e memorabile monologo, nel quale chiarisce quali siano state le motivazioni che lo hanno, durante la sua vita, indotto ad agire, per diventare sempre più ricco e influente. Tuttavia, con un gesto di resipiscenza finale, confessa pubblicamente la sua colpa, dovuta all’errore commesso nella sua giovinezza, per liberarsi dal tormento da cui era attanagliata la sua anima.
Uno spettacolo di grande spessore estetico e culturale, poiché aiuta a comprendere quanto siano complessi i rapporti tra le persone e i meccanismi economici da cui è governata la società umana.