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Pistoia 2013. Incontro con Marco Bellocchio
Presso il cinema Globo di Pistoia, martedì 29 ottobre, in seguito alla proiezione del film "I pugni in tasca" per la rassegna "Forme della ribellione: il cinema di Marco Bellocchio", il regista piacentino ha incontrato il pubblico in sala. Bellocchio si trovava, infatti, nella città toscana proprio per le ultime prove dello spettacolo teatrale "Zio Vanja" (nel cast anche Michele Placido e Sergio Rubini), una delle opere più celebri del teatro cechoviano, che ha debuttato al Teatro Manzoni di Pistoia il primo giorno di novembre.
Questi i tratti più salienti della conversazione tra il regista e i curatori della rassegna, Luca Barni e Filippo Bardazzi.
Barni: <<Bellocchio è uno dei più grandi registi che abbiamo ancora qui in Italia.
Volevo partire da questo suo ritorno al teatro, un'espressione molto diversa dal cinema. Aveva fatto nel '69 uno spettacolo teatrale tratto da Shakespeare, "Timone d'Atene", poi il "Macbeth" una decina d'anni fa con Placido e ora ritorna con Cechov.>>
Bellocchio: <<A me piace molto il teatro, che naturalmente ho incorporato anche in numerosi film (Pirandello..). I linguaggi a teatro sono ovviamente molto diversi, quindi c'è sempre il problema di capire le diverse distanze. In uno applichi la tua immaginazione, il tuo sguardo anche per raccontare un testo [...], hai sempre voglia di avvicinarti, di allontanarti, di inquadrare diversamente, invece il teatro ha l'implacabilità di un'inquadratura unica, che è una specie di totale. Allora devi cercare, attraverso la musica, attraverso la luce, attraverso le parole di infrangere questa immobilità, nella quale il teatro si muove benissimo. Però penso sia una cosa vivace, interessante. Poi chi verrà a vedere giudicherà.>>
Barni: <<Vorrei tornare un po' al cinema. Vorrei partire da uno scambio di battute avuto con un ragazzo, su Facebook, che mi ha detto: <Vengo volentieri perchè devo fare delle domande al regista perchè "I pugni in tasca" è un ottimo film>. Insomma, "I pugni in tasca" è un film grandioso, epocale, importantissimo per il nostro cinema. Nei volantini delle rassegne abbiamo parlato di questo. Il cinema italiano arrivava in ritardo rispetto ad altre cinematografie per quanto riguarda il cinema giovane, un cinema che provava a venire incontro alle esigenze dei giovani e ai problemi esistenziali di quegli anni. Abbiamo avuto grandi registi che hanno iniziato a fare cinema negli anni '50 – '60 (Olmi, Pasolini..), però mancava - come in Francia hanno avuto la Nouvelle Vague e in Inghilterra il Free Cinema - un cinema di giovani fatto per i giovani. In Italia, secondo me, il primo film che ha significato qualcosa in questi termini e che aveva in sè quella rabbia giovanile che si chiedeva ad un certo cinema è proprio questo ["I pugni in tasca"]. Ce ne sono stati anche altri, come quelli di Bertolucci, ma anche di Tinto Bras, che viene conosciuto per altro.
Com'è cambiato il suo cinema? Quella rabbia, quella ribellione intrinseca in quei film, com'è cambiata, come si è trasformata nel tempo? Perchè oggi il suo cinema è un po' diverso, anche se le tematiche sono sempre le stesse (la famiglia, l'istruzione)..>>
Bellocchio: <<Il cinema che noi facciamo è strettamente legato alla vita, ma non nel senso di seguirla passo passo nelle esperienze, ma in quelle che sono le scoperte e anche i cambiamenti. Oggi io non saprei fare un film come "I pugni in tasca" perchè – io sono tutt'altro che pacificato – ho, potremmo dire, una visione del mondo totalmente diversa. "I pugni in tasca" è un film crudele, un film di una violenza estrema, in cui la ribellione esige delle vittime. Io non saprei raccontare oggi un matricidio in questo modo nè l'eliminazione di un fratello disabile, perchè il mio pensiero, la mia immaginazione non generano più immagini di questo tipo. Chiaramente, io sono e continuo ad essere non conciliato, non mi va assolutamente bene il mondo così com'è, però non penso e non sento che la strada giusta sia quella della distruzione. Ma questo io l'ho raccontato in vari film. In fondo, se noi pensiamo ad un film come, per chi l'avesse visto, "L'ora di religione", si tratta di un rifiuto di un certo tipo di educazione con la sua violenza e la sua ipocrisia, però risparmiando il nemico e separandosi da lui. Anche "Buongiorno, notte" è l'aspirazione ad una libertà immaginaria che, però, in qualche modo, rifiuta l'ineluttabilità di una certa storia.
Credo sia inevitabile: uno fa le cose che sente profondamente, solo così in qualche modo comunica qualcosa di vivo, di vero, di sincero. Questa è la mia strada.>>
Barni: <<Com'è nato quel film? So che è stato fatto con pochi soldi, che attinse un po' ai risparmi di famiglia..>>
Bellocchio: <<Niente di eroico. Nacque da due esigenze molto semplici. Da una parte mi ero diplomato al Centro Sperimentale, ma essere diplomato regista non vuol dire essere regista. Volevo capire chi fossi e se ero capace di fare questo mestiere. Allora mi sono immaginato una storia che era la mia storia, la storia della mia vita, una storia quindi molto personale, però pensando di fare un film che potessi fare.
Chi vuole fare il regista deve avere anche una dimensione pratica, di rapporto con la realtà, di rapporto con gli altri, di scontro con altre persone, sia vicine sia con chi si oppone. Io ero un giovane estremamente introverso, si direbbe imbranato, ma avevo anche una dimensione pratica che mi ha permesso di realizzare il film, senza la quale è impossibile fare i registi: si può fare i poeti, gli scrittori, i pittori.. Ma per fare il regista serve un rapporto con la realtà, con gli altri.>>
Barni: <<C'erano dei modelli a cui ha attinto? Nel film ci sono foto di Marlon Brando, ad esempio, anche nella recitazione di Lou Castel, che è straordinario, non si può non ricordare una certa recitazione, l'Actor Studio..>>
Bellocchio: <<Marlon Brando è stato un mio idolo quando ero un ragazzo, ricordo "Fronte del porto", e anche James Dean, con "La valle dell'Eden".. Avevo incontrato Castel per caso al Centro Sperimentale e poi abbiamo messo insieme questo gruppo. Poi, naturalmente, poichè ho finanziato io il film, abbiamo utilizzato due case che ne fanno una: una villetta e poi gli interni che fanno parte di un appartamento dentro il paese di Bobbio, che erano di proprietà di mia madre, quindi avevo tagliato molti costi. In questo senso ci siamo messi nelle condizioni di girare liberamente in un contesto amico, un contesto molto importante.>>
Barni: <<Guardando alla sua carriera, a tutti i film che ha fatto, si vede come fin da subito abbia voluto smarcarsi da una certa idea di cinema d'autore, da una figura tradizionale di autore, ad esempio affidandosi a collaboratori sempre diversi, accettando produzioni che oggi diremo anche mainstream come "Sbatti il mostro in prima pagina", ma anche negli stessi anni le esperienze del cinema in cooperativa, fatti dal collettivo Rulli-Petraglia-Agosti, poi adattamenti teatrali per la RAI, per non parlare del cinema per l'unione dei comunisti italiani a cavallo tra gli anni '60 e '70, per poi arrivare negli anni '80-'90 alla collaborazione con Fagioli. Spesso si vedono i registi che stanno attenti a fare in modo di diventare autori.. Come vede il suo rapporto con il cinema d'autore?>>
Bellocchio: <<Il mondo del cinema è talmente piccolo che è difficile fare delle statistiche. Bertolucci ha preso la sua strada, Pasolini pure, Ferreri anche, io ho preso la mia.. Io non ho mai voluto fare un film che assomigliasse al precedente. Dato il successo internazionale de "I pugni in tasca", sarebbe stato facile girare non dico "I pugni in tasca 2", ma un secondo film che assomigliasse al primo. Dopo questo, è finito. Ho fatto degli errori, sicuramente, ma non ho seguito una carriera. Avevo trovato un grandissimo successo, ma dopo nel '68 ho deciso di lasciare il cinema perchè mi sono coinvolto per un breve periodo in un'esperienza politica radicale di ispirazione maoista e pensavo che quella fosse la mia strada. Una sorta di rieducazione mia, in quanto borghese con una cultura borghese, quindi per un annullamento della mia identità. Di questo non è che ne sono orgoglioso, non ho mai voluto tesaurizzare la mia carriera.>>
Bardazzi: <<Circa il clima nel quale nacquero i suoi primi film ("I pugni in tasca", "La Cina è vicina", "Nel nome del padre".. e così via).. Sono passati molti anni e sono periodi completamente diversi, quel periodo rispetto a quello che stiamo vivendo adesso.. Eppure, personalmente, noto delle forti vicinanze in quello che l'opinione pubblica ma anche il popolo pensa e vuole, quindi soprattutto una rivolta contro un ordine costituito [...], contro quelle che sono le gerarchie, dello stato o della religione.. Vorrei chiederle se, mutatis mutandis ovviamente, trova anche lei che ci sia una sorta di vicinanza, parlando da artista, tra quel periodo in cui lei ha iniziato a fare cinema e quello in cui ci troviamo oggi e se, collegato a questo, trova nella generazione attuale di registi italiani, qualcuno che possa seguire la scia di quel primo cinema arrabbiato degli anni '60.>>
Bellocchio: <<La sua domanda è estremamente complessa [...]. La prima cosa che mi viene in mente è che la mia esperienza, la mia cultura di quegli anni era legata ad uno spirito di una ribellione, di una rivolta, che aveva delle radici culturali: se pensiamo al Surrealismo e ad una grande letteratura che parte da Dostoevskij, poi Céline.. Una rivolta anarchica. Poi, in quegli anni e nei successivi la rivolta si è innestata anche su un'ideologia che non era così vuota e totalmente inesistente come oggi. Parlare di comunismo, di marxismo, di lotta di classi era qualche cosa che aggregava molto la gioventù. Io sono partito come un anarchico e, attraverso il '68, per un breve periodo ho trovato anche una corrispondenza e una necessità di militare in una formazione politica che aveva come obiettivo la rivoluzione e la trasformazione di una società borghese in una società socialista. Questo è qualcosa che ho sempre detto essere stata più una religione, un qualcosa che aveva a che fare con una mia formazione cattolica di volere un cambiamento, una forma più morale che politica. Questa ribellione di oggi che io, devo essere sincero, conosco indirettamente attraverso i giovani, è molto diversa perchè da una parte è molto più estrema e nichilista dall'altra meno concreta. Si propone degli obiettivi concreti: i giovani vogliono un posto di lavoro, una sicurezza, avere delle cose concrete attraverso mezzi e modi di comunicare che a quei tempi non esistevano [...] Allora c'erano proprio dei modi e delle forme: c'era la politica che aveva un peso enorme, adesso non più.
Il cinema italiano è pieno di giovani autori estremamente interessanti. A me piace moltissimo – ma non è l'unico – Pietro Marcello. Sono tanti i film che si occupano del sociale, ma se il sociale è rappresentato in una forma mediocre, una forma comune, allora è meglio la televisione. Bisogna sempre, secondo me, cercare delle forme originali, molto elaborate. Anche il film "Sacro GRA" di Rosi.. Ho visto un film terribile, girato col cellulare, di Pippo Delbono, "La paura", un film di un'originalità estrema, unico. [...] Lasciamo perdere, invece, i giovani che scimmiottano i vecchi perchè sono già perduti in partenza, anche se riescono ad ottenere qualche successo effimero. Però c'è un'altra parte che tenta più sul tema sociale con risultati alterni.. C'è un cinema italiano giovane, ma è come più sparpagliato.. Allora è come se ci fosse un'attenzione che faceva sì che il giovane cinema italiano si presentasse più compatto e apparisse veramente come una novità, cospicua, numerosa. La gente comune non ha questa sensazione di un nuovo cinema italiano, però esiste.>>
L'incontro è stato un'occasione unica per conoscere da vicino uno dei maggiori registi italiani e internazionali di oggi, che ha saputo raccontare in modo inedito, con il suo cinema, scorci significativi della realtà attuale, ma soprattutto la difficoltà dei rapporti interpersonali e, attraverso rimandi ad alcuni grandi autori della letteratura moderna, il piccolo grande "guazzabuglio del cuore umano".