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I ponti di Sarajevo. Tredici riflessioni: i cento anni della città-ponte
Non può che colpire profondamente lo spettatore odierno il film collettivo “I ponti di Sarajevo” (Les ponts de Sarajevo), proiettato il 20 novembre in streaming sulla piattaforma di MyMovies, in contemporanea con la programmazione del Balkan Florence Express (nell'ambito dei “50 Giorni di cinema internazionale a Firenze”), dopo l'anteprima al Festival di Cannes – ma anche il 27 giugno scorso, proprio nella città di Sarajevo, in occasione del “Sarajevo Heart of Europe celebration”.
Il film, composto da tredici cortometraggi realizzati da altrettanti registi europei, si apre nel segno della memoria e della presa di coscienza del passato che percorreranno l'intera pellicola: le didascalie d'apertura, infatti, fanno riferimento proprio al centenario, che ricorre quest'anno, dallo scoppio della prima guerra mondiale, a partire dall'uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria.
Tredici registi di nazionalità diverse hanno dunque proposto il proprio sguardo sulle vicende legate a Sarajevo, che diventa simbolo del “secolo breve”, assumendo una prospettiva ora più vicina a quel terribile 1914, ora con uno sguardo attuale, inclinato su quelle che sono state le conseguenze fisiche e morali dell'attentato all'erede al trono d'Austria-Ungheria osservato dal punto di vista del popolo jugoslavo.
È proprio sulla notte che precede l'omicidio che si concentra il primo dei cortometraggi, del bulgaro Karmen Kaliv, intitolato “La mia dolce notte”, dove protagonista è proprio Francesco Ferdinando: se ne ascoltano le preoccupazioni interiori e le riflessioni sulla dicotomia senza tempo tra destino e libero arbitrio, indotte dal nefasto presagio avuto dalla moglie in sonno, quasi fosse consapevole della portata sconvolgente del giorno successivo, il 28 giugno 1914.
Un'impostazione meditativa contraddistingue anche “Il testamento delle nostre ombre” di Vladimir Perisic, poiché il regista sceglie di far ascoltare, piuttosto che mostrare direttamente, le voci di coloro che lottarono per l'indipendenza del proprio popolo e per la formazione di una repubblica slava, attraverso parole espresse con un sussurro, quasi fuoriuscisse spontaneamente dagli innumerevoli documenti presenti nell'archivio in cui si ambienta l'episodio.
Leonardo di Costanzo, invece, porta gli spettatori in trincea con il suo contributo, dal titolo “L'avamposto”, nel contesto della tragicità del campo di battaglia, a contatto diretto con una morte crudele e spietata, cui andarono incontro – come sottolineano le didascalie – moltissimi uomini, spesso contadini provenienti da luoghi e tradizioni diverse tra loro, chiamati a combattere per un'idea di patria per molti ancora sconosciuta. In questo episodio, di grande significato storico e morale, centrale è la crisi psicologica del soldato semplice come del tenente, che condividono la stessa condizione di debolezza e fragilità nella necessità di obbedire agli ordini impartiti dall'alto. Nello scacchiere del mondo, a dispetto di qualsiasi strategia, sono sempre le pedine a pagare con la propria vita la posta in gioco.
Altrettanto significative sono poi le “Riflessioni” del regista ucraino Sergei Loznitsa, che sceglie di mostrare, attraverso il bianco e nero, sequenze di vita nella Sarajevo odierna in sovraimpressione alle celebri fotografie che ritraggono i difensori della città durante l'assedio del 1992. Il risultato è di grande impatto visivo, sia per la particolare tecnica che collega il passato lontano a quello più recente sia per l'assenza di dialoghi, che lascia interamente alle immagini il compito di comunicare il messaggio agli spettatori e favorire ulteriori riflessioni.
Anche Jean Luc Godard ha contribuito a questo film collettivo con il cortometraggio “Il ponte dei sospiri”, strutturato attraverso il montaggio di immagini di repertorio e didascalie intermittenti, accompagnate dalla voce fuori campo dello stesso cineasta, che riflette sulle categorie di bene e male, sulla paura nel cuore degli uomini che genera i presupposti dei conflitti, ma soprattutto sul rapporto tra cultura e arte. Su queste ultime si sofferma e sviluppa la propria considerazione, in direzione metacinematografica: la prima viene vista dal maestro come la regola “istituzionale”, ben scritta e visibile ai più, mentre l'arte è l'eccezione, che non viene espressa ma rappresentata, mediante le opere di grandi artisti, scrittori, pittori e registi, come anche attraverso la storia di alcune città, tra cui la stessa Sarajevo, a cui Godard indirizza il proprio saluto di riconoscenza. Nonostante si tratti, anche in questo caso, di un breve contributo, il cineasta francese realizza un film di profondo valore artistico, sia sul piano morale che visivo, fino a culminare nell'inquadratura fortemente evocativa di due mani che si toccano sul fiume di Sarajevo, concretizzando l'idea di unione per cui la città ha combattuto.
Questi, a mio avviso, sono alcuni dei cortometraggi più significativi riuniti ne “Les ponts de Sarajevo” incastonati all'interno di un mosaico unitario di grande respiro, in cui forse solo pochi fra i tredici frammenti possono essere considerati “minori” dal punto di vista visivo, non da quello contenutistico.
Il collante fra i diversi episodi è rappresentato simbolicamente da una serie di bellissime sequenze animate (realizzate da François Schuiten e Luís da Matta Almeida) dove due mani si cercano e si incontrano per formare un ponte sulla città: un collegamento attraversabile e fonte di scambi che all'improvviso si sgretola o si incedia, ma che poco dopo, come una fenice, rinasce dalle proprie ceneri – costituito, ad esempio, da una serie di libri, attraverso i quali passa la conoscenza e quindi la tolleranza – per continuare a rendere Sarajevo la città-ponte fra Occidente e Oriente, fra le diverse età della storia.