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POSH. Il cinismo annoiato dei giovani “vecchi”
Un club esclusivo come quello del Riot non può assolutamente accettare chiunque, quindi è regola che si viene solo invitati a farne parte, come i due ultimi arrivati sono Max Irons e Sam Claflin, rispettivamente Miles Richards e Alistair Ryle, ricchi e snob (posh, appunto) come tutti gli altri. Lona Scherfig mette in scena per il grande schermo la commedia nera omonima POSH che Laura Wade ha scritto per il teatro.
Il Riot Club di Oxford, fondato nel 1776 da Lord Ryot (con la “y”), sempre formato da dieci membri, è quanto di più lussuoso e cinico possa permettersi una università classista come Oxford, che però ogni tanto accetta membri “proletari” come Lauren (interpretata da Holliday Grainger). Beh, verrebbe da fare subito una battuta che gira nel sottobosco: sarebbe tutti da buttarli nel William and Cate (Kate), insieme forse alle sparute fans che inseguono il cast di bellocci quanto senza spessore, attori che ritraggono una simile noia tipicamente londinese. Si, perchè, è vero che quel che ci racconta il film purtroppo (senza qualche eccesso forse): le carriere si decidono ben prima dell'università nella perfida Albione, e di certo chi si iscrive e frequenta una “public school” non andrà né a Cambridge né ad Oxford.
Quel che vediamo quindi ritrae la realtà, e il nome del club, che per la verità si chiamerebbe Bullington Club, è a mio avviso un noiosissimo club che, invece di mettere insieme menti brillanti - non ci pare proprio che sia questo il minimo comun denominatore attraverso il quale sono scelti i componenti -, accorpa al suo interno e sua difesa, una decina di giovani ricchi e a volte blasonati, che invece di fare “riots” sommosse appunto (il che ci sembra quasi un paradosso inscritto nel nome), cerca di comprarsi il silenzio del ristoratore di turno per fare un po' di casino e ubriacarsi in un pub. E' chiaro che la cosa può degenerare e trasformarsi in un incidente più “corposo”, ma in tutto ciò non ci vedo nulla di affascinante o trasgressivo. Che c'è di trasgressivo nel comprarti tutto quello che già puoi permetterti?
Ben altra cosa il punk, che al posto dei vecchi inni, i “riots” li faceva sul serio e cantava “God save the queen” nella rilettura anarchica dei Sex Pistols. Gloria al punk, a MacLaren a Vivien Westwood che gli sopravvive.