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Pride. Un'inedita alleanza nell'Inghilterra del thatcherismo
Se Ken Loach e Paul Laverty nello scrivere le sceneggiature dei loro film mutuassero elementi delle situation comedies, otterrebbero un risultato simile a Pride, il nuovo film di Matthew Warchus.
Ispirato a una storia autenticamente avvenuta, il film ci proietta negli anni ’80, quando la Gran Bretagna è dominata dalla figura decisionista del premier Margareth Thatcher, ma la working class, e in particolare i minatori, si impegnano in una strenua opposizione che culminerà nello storico sciopero del 1984. In un’epoca in cui i diritti di alcune minoranze erano ben lungi dall’essere riconosciuti, alcuni attivisti del movimento gay/lesbico, vengono attratti da chi, come loro, lotta contro un sistema politico percepito come ingiusto, e in un modo di solidarietà decidono di promuovere una campagna di fund-raising per gli scioperanti del Galles. Inizialmente i minatori, accolgono l'iniziativa con un misto di diffidenza e imbarazzo, ma progressivamente i due mondi si avvicinano fino a condurli a singolari rapporti di amicizia.
Matthew Warchus, nelle sue note di regia, ha sottolineato come il copione del film lo abbia divertito e insieme commosso: i protagonisti del film, nella loro lotta che oggi potrebbe perfino sembrarci assurda e paradossale (in fondo i minatori lottavano per il diritto di lavorare sotto terra, in condizioni igienico-sanitarie e ambientali non proprio auspicabili), sostenevano in fondo un principio ideologico fondamentale: quello della priorità del bene comune rispetto agli interessi personali, ossia della società contro l’individuo egoisticamente inteso. Sostanzialmente si tratta di una forma di socialismo, insieme utopistico e concreto, contro il liberismo sfrenato incarnato dalla Thatcher e a livello più “nobile” rappresentato dalle teorie di Friedrich von Hayek e Milton Friedman.
Ma non è solo la visione politica dei due gruppi protagonisti del film (ossia il movimento LGSM – Lesbians and Gays Support the Miners, e i rudi minatori gallesi) a colpire lo spettatore, bensì anche la profonda umanità che si avverte nei dialoghi e nella vittoria contro la reciproca diffidenza, che testimonia generosità, dialogo e comprensione graduale, fino ad assumere l’aspetto tipico di una commedia romantica (o meglio di una cosiddetta comedy-drama, o dramedy).
Peraltro, l’incontro-scontro tra i due gruppi è, sottotraccia, anche una questione generazionale, perché i minatori gallesi (interpretati da Bill Nighy, Imeldaa Staunton e Paddy Considine) sono in qualche modo più anziani e maturi rispetto ai ragazzi attivisti del movimento LGSM. La cosa provoca un certo contrasto vitale, quando quest’ultimi sbarcano nel Galles, nel villaggio di Onllwyn, dopo un periglioso viaggio su un camper da Londra. Le due comunità si “sciolgono” in occasione di una festa da ballo, in cui uno degli attivisti londinesi, Jonathan Blake (Dominic West) sceglie una canzone (“Shame Shame Shame” di Shirley & Company) e inizia a ballare, rompendo il ghiaccio. Di lì le due comunità si intenderanno sempre di più: vicende accompagnate da una colonna sonora tipicamente “eighties”, con brani dei Queen, Bronski Beat, Frankie Goes to Hollywood, Soft Cell, Culture Club, Joy Division, Tears for Fears, The Human League, Simple Minds, ecc.
Il film si conclude con le sorprendenti scene in cui i minatori decidono di partecipare al Gay Pride londinese del 1985, una vera pietra miliare nella storia della società britannica.