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La prima luce. Il limpido bagliore di Vincenzo Marra
La prima luce è la storia dei genitori di Mateo (Gianni Pezzolla), Marco (Riccardo Scamarcio) e Martina (Daniela Ramirez), sudamericana, e della loro storia d'amore che conosciamo sul finale, quando la coppia ormai in crisi non comunica più e se lo fa, trattiene a stento il rancore, l'aggressività, le rivendicazioni.
Tanto per tracciarne un profilo, Vincenzo Marra, meno che trentenne, ci ha incantati con Tornando a casa (2001, Settimana della Critica a Venezia, Premio per il Miglior Film), storia di pescatori napoletani costretti a violare le acque territoriali fino a largo delle coste nordafricane per pescare abbastanza da viverci, con una intensità e una maturità rare, sia dal punto di vista umano che professionale; con Vento di terra del 2004 (Premio Rivelazione alla Semaine de la Critique di Cannes), e conferma la qualità del suo cinema con una storia di poche parole, molte immagini e grande coinvolgimento emotivo e sociale, ambientata a Secondigliano. In entrambi i casi i protagonisti sono ragazzi dotati di purezza e lucidità al tempo stesso, la cui vita è ferocemente condizionata da una realtà durissima e ai quali, tuttavia, Marra, con gesto poetico, offre una possibilità di riscatto.
L'attenzione al sociale di queste due opere non ne oscura la bellezza; anzi, il lirismo delle immagini cattura e coinvolge in profondità.
Questa prima parte è ambientata a Bari, dove Marco svolge l'attività di giovane e rampante avvocato mentre Martina è grafica in un'agenzia pubblicitaria. Il lavoro della ragazza è negativamente influenzato dalla sua condizione psicologica, triste e depressa, dovuta all'insoddisfazione per la relazione di coppia e per la crisi che attanaglia l'Italia, dove le persone appaiono alienate o ciniche.
Il bisogno di dare una educazione serena e un futuro felice a Mateo la spingono fuori dall'Italia, all'insaputa di Marco, il quale, per amore del figlio, intraprende un viaggio in Sud America, a Santiago del Cile, città enorme dove Martina è ritornata per ritrovare il proprio equilibrio.
Qua si invertono i ruoli: Marco sarà costretto a guardarsi dentro e a comprendere, vivendola sulla propria pelle, la condizione che ha dovuto subire lei per sette anni, lontana da casa, dagli affetti, con un compagno incapace di comprenderla, sostenerla, condividere i suoi desideri.
Mateo è la figura attorno alla quale si incardina un sistema di affetti che si trasforma in guerra, fino alla distruzione.
In mezzo ci sono la crisi economica, la globalizzazione, la mancanza di un diritto internazionale capace di rispondere alle esigenze del presente e c'è persino un accenno ai desaparecidos. È lo stesso Marra a dichiarare nelle note di regia, non senza un certo candore, che "la materia si offriva a tanti altri spunti e metafore".
La carne al fuoco è tanta, troppa. Il film, pieno di buone intenzioni, appare spesso dispersivo: il punto debole è la scrittura, non abbastanza solida rispetto alle necessità del film; c'è un'idea forte, la sottrazione di minori nella società globale, che si indebolisce perché la narrazione si disperde in mille argomenti distraendoci dal nodo centrale.
Ciononostante Marra riesce a tratteggiare i personaggi con la sua abituale profondità, aiutato da una recitazione credibile e intensa, lontana dai facili divismi. I frequenti primi piani dei protagonisti “parlano” un linguaggio sottile, messi a confronto con i totali dei paesaggi assolati del mare di Puglia o quelli della grande metropoli e con gli interni delle abitazioni, prima un appartamento borghese, pieno di oggetti eleganti che testimoniano la riuscita sociale ed economica, dopo un interno piccolo, male arredato, in un grattacelo senza identità, dove Marco è uno fra i sei milioni, senza più certezze, se non l'amore per il proprio figlio.
Sarà questo il punto fermo dal quale ripartire.
Il cinema di Marra fonda le sue origini su solide basi e nel fuggire la spettacolarità a tutti i costi aspira, a tratti riuscendovi, a costruire un linguaggio nuovo ma rigoroso.
Come molti film italiani La prima luce, presente alla XII° edizione delle Giornate degli autori alla 72° edizione della Biennale di Venezia, è realizzato con uno sforzo produttivo appena dentro alla soglia del medio budget (fascia compresa fra i 200.000 euro e 1.500.000 euro), ma con una professionalità di primo livello.
Vale la pena, in ogni caso, di dare spazio ed eco ad un cinema, a degli autori, ad un sistema produttivo, che si sforzano di proporre opere capaci di graffiare la superficie dell'oggi, attenti alle storie più intime e al tempo stesso interessati ad un orizzonte universale.