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Questi giorni. La linea d'ombra tra giovinezza e maturità
Il film Questi giorni di Giuseppe Piccioni, che debutterà tra pochi giorni nelle nostre sale cinematografiche, si inserisce in un filone rigoglioso, quantitativamente e qualitativamente, della letteratura e del cinema, ossia quello dedicato a indagare la linea d'ombra che divide la giovinezza dalla maturità. Che cosa scandisce il passaggio da una stagione esistenziale all'altra? Che cos'è e come si raggiunge la maturità? E che cos'è la maturità se non la consapevolezza che le illusioni sono e restano tali e rappresentano la vegetazione che adorna la superficie atona, adulta e impassibile della vita?. "La vita – diceva Eugenio Montale – è crudele più che vana".
La giovinezza è la stagione nella quale la vita coincide con l'attesa, trepida e sognante, di sé stessa.
Questa luminosa incertezza del futuro, verso il quale si proiettano tutte le illusioni e i sogni giovanili, è – tra i grandi temi del vivere – uno dei più cari alla sensibilità e alla fantasia degli scrittori e degli artisti.
Leggiamo in uno dei più bei romanzi italiani del Novecento, L'isola di Arturo di Elsa Morante (una sorta di leopardiano Sabato del Villaggio ambientato nell'isola di Procida), un sentimento – espresso splendidamente - di impaziente attesa del futuro.
Scrive Arturo: «Io, da quando sono nato, non ho aspettato che il giorno pieno, la perfezione della vita. Ho sempre saputo che l'isola, e quelle notti là con lei, erano solo la notte della vita. In fondo l'ho sempre saputo, e ora lo so più che mai. E attendo sempre che il mio giorno arrivi, simile a un fratello meraviglioso con cui ci si ricorda, abbracciati, la lunga notte».
In una città di provincia si svolge la vita di quattro ragazze che decidono di compiere un viaggio per accompagnare una di loro a Belgrado, dove l'attende una misteriosa amica e un'improbabile occasione di lavoro. Il viaggio sarà scandito da incontri significativi ed effimeri, amorazzi estemporanei, discussioni, litigi e riappacificazioni, ma soprattutto dalla gestione di un segreto dolorosissimo che una di loro, Liliana (perfettamente interpretata da Maria Roveran, una delle più promettenti attrici del nostro cinema), custodisce dentro di sé e cerca di gestire per non sommuovere nelle sue amiche le medesime angoscie dalle quali è agitata.
La giovinezza è gelosa di sé, dei suoi dolori e delle sue gioie.
Raccontarla è una sfida che richiede la mobilitazione di tutte le risorse della propria ars poetica.
La regia sceglie una narrazione che si affida moltissimo alle immagini, ai primi piani, straordinariamente supportata da una fotografia che consegna allo spettatore istantanee che fermano alcuni dei brani esistenziali più emblematici, come, per esempio, i momenti di spensieratezza immemore condivisi dalle protagoniste con una comitiva di ragazzi conosciuta sul posto tra le acque della costa adriatica.
È decisamente una costante, in questo genere di film dedicati alla giovinezza che si congeda da sé stessa, il ricorso all'elemento equoreo (del mare o marino), che metaforicamente esprime l'ondoso e perenne trasmutarsi della vita attraverso sé stessa.
La grande abilità del narrare per immagini, alle quali è affidato il compito di raccontare l'inesprimibile, le segrete ragioni della giovinezza, è felicemente congiunta a una buonissima resa interpretativa degli attori (nel cast anche Margherita Buy, che veste i panni di una madre distratta e apprensiva), in particolare delle quattro ragazze protagoniste (come dice il regista, il film sono loro).
Per questo film sulla vita che rischia di mancare all'appuntamento con sé stessa, possiamo concludere con l'ennesima citazione, ancora una volta di Eugenio Montale.
Il mondo esiste...uno stupore arresta
il cuore che ai vaganti incubi cede
messageri del vespero e non crede
che gli uomini affamati hanno una festa.