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La questione meridionale nel rapporto Svimez. Lo sviluppo mai avvenuto
Nel dibattito pubblico del nostro Paese è ricorrente la discussione sulle cause storiche ed economiche che si pongono all'origine del dualismo di sviluppo, che divide a metà l’Italia tra il Centro-Nord, sviluppato e progredito, e il Sud arretrato e con la presenza di sacche e aree di emarginazione e sottosviluppo nelle varie regioni. Per comprendere in che misura siano mutati i termini della questione meridionale, superando stereotipi consolidati e convinzioni infondate sul piano economico, è utile leggere il Rapporto 2016 curato da una prestigiosa istituzione, lo Svimez (acronimo per Associazione per lo SVIluppo dell'industria nel MEZzogiorno), da poco pubblicato.
A questo proposito lo storico Giuseppe Galasso sul Corriere del Mezzogiorno di domenica 30 luglio 2017, nella sua rubrica domenicale Il Tempo e le Idee, ha commentato e analizzato i dati e i risultati racchiusi nel rapporto Svimez, che ha avuto una grande eco sui media nazionali. In primo luogo, smentendo quanti pensano che il destino e la sorte delle regioni meridionali siano segnate in modo ineluttabile, il rapporto Svimez indica che nel corso del 2016 vi è stata una tendenza alla crescita economica dello 0,9% nel Sud Italia. Questo dato è confortante poiché dimostra che vi è una tendenza verso la crescita e lo sviluppo che interrompe un lungo periodo di immobilismo e di paralisi delle attività produttive.
La crescita che oggettivamente si è avuta nelle regioni meridionali non dipende dagli investimenti pubblici, ma da quelli effettuati e realizzati dai privati. Infatti, in base ai dati economici acquisiti dal rapporto Svimez, gli investimenti pubblici sono notevolmente diminuiti per la contrazione della spesa pubblica in conto capitale. Gli investimenti pubblici nelle aree meridionali ammontano ad appena 13 miliardi di euro, equivalenti allo 0,8% del prodotto interno lordo. Inoltre, in base alle infauste previsioni del rapporto Svimez, qualora dovessero scattare ed essere applicate le clausole di salvaguardia, si avrebbe un aumento dell’Iva, con la conseguente diminuzione delle risorse da destinare alle regioni meridionali. Accanto a queste ombre vi sono aspetti positivi nello stesso rapporto Svimez, come il riconoscimento che assume un grande valore il decreto che istituisce le zone speciali economiche (ZES) per le sole aree meridionali.
Tuttavia, malgrado questi dati siano palesemente contraddittori, e dimostrino come la modernizzazione del meridione sia una opera incompiuta e incompleta, non bisogna perdere la consapevolezza politica e culturale che per superare il dualismo tra il Nord e il Sud in Italia vi è un lungo percorso da compiere e ancora da fare. Infatti alcuni studiosi di economia, preoccupati per lo strapotere economico detenuto dalle organizzazioni criminali meridionali, sostengono che per il mezzogiorno siamo vicini all’ultima chiamata, ovverossia o si adottano le misure e le riforme necessarie, oppure il meridione sarà condannato ad un destino di perenne emarginazione e isolamento economico e culturale. Non bisogna ignorare che, a causa della minore capacità di competere sui mercati economici globali, tutta l’Italia, durante gli anni della crisi, si è allontanata dall'Europa in termini di sviluppo e crescita economica.
Per tale ragione, per gli studiosi che hanno realizzato ed elaborato il rapporto Svimez, è fondamentale compiere ogni sforzo per pervenire all'intensificazione delle politiche di coesione nazionali, di cui vi è una debole eco nel dibattito pubblico del nostro Paese. Pertanto non appare irragionevole che la spesa pubblica destinata al Sud sia portata al 34% del PIL rispetto a quella nazionale, tenendo conto del numero degli abitanti del meridione e della necessità di rendere meno assillanti e vincolanti le prescrizioni in materia di bilancio dovute all'austerità imposta dalle istituzioni comunitarie. Lo stesso rapporto Svimez rinnova la richiesta al governo nazionale di riaprire nelle istituzioni comunitarie un dibattito per ridiscutere il patto, basato sulla politica fiscale, denominato fiscal compact ed accettato dai paesi dell’Unione, in modo da rendere possibili maggiori investimenti pubblici nelle aree del nostro mezzogiorno. L’attuale governo, secondo gli studiosi dello Svimez, ha dato segno di tenere in grande considerazione le legittime richieste che provengono dal meridione, area del nostro Paese in cui vi sono realtà produttive di notevole valore, sicché il mezzogiorno non parte da zero e non è un luogo del Paese che invoca politiche assistenzialistiche e clientelari.
Infatti nel settore delle imprese manifatturiere vi è un comparto produttivo solido e capace di produrre ricchezza e lavoro, anche se bisogna ammettere che si tratta di piccole imprese rispetto alle dinamiche globali delle competizione economica del nostro tempo storico. Il miglioramento della condizioni dell'economia meridionale, che è stato registrato dagli studiosi dello Svimez, è dovuto ai molteplici e innumerevoli investimenti realizzati dai meridionali, fatto enormemente positivo che dimostra come la civiltà dell'impresa si sta diffondendo nel Sud Italia. Ovviamente, accanto agli investimenti produttivi pubblici e privati, è fondamentale che vi sia un ammodernamento delle infrastrutture e una lotta reale contro le pericolose e insidiose organizzazioni criminali. Questi sono i termini essenziali della nuova questione meridionale.