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Reality. Il Grande Fratello dei Balocchi
Le note di Alexandre Desplat aprono questo film di Matteo Garrone, Reality, sull'onda onirica della luna: sullo sfondo il mondo dei balocchi del Grande Fratello, con un Aniello Arena nella parte naïv di un napoletano con famiglia annessa, che sembra tanto un Pinocchio redivivo truffato dal gatto e la volpe nostrani, con sembianze quasi invisibili, introiettate dentro potremmo dire, le cui antenne però vibrano indefessamente su quel che era un giorno il tubo catodico.
Melanconico, triste ritratto di una deriva irredimibile, la ricerca dei soldi e della notorietà, di uno spicchio di cielo in una Napoli pittoresca, borbonica, nei suoi anfratti d'altri tempi, il film si snoda mellifluamente tra il kitsch del matrimonio di provincia, la zoommata iniziale sul percorso del cocchio da favola sulle note surreali di Desplat; ed una Roma vista solo attraverso gli studios di Cinecittà e la Dear sulla Nomentana, la cui unica consolazione sono quei pini che inneggiano ad altri cieli, irraggiungibili da dentro uno schermo.
Punte ironiche invece tante, molte amare, che dicono di quanto si può ridurre un individuo alla cecità irresponsabile: ci vorrebbero a volte i sottotitoli – non ci sono dappertutto – per spiegare anche quello che forse solo Napulé può raccontare, quell'intensità di colori, il candido rispetto per chi ha perso la testa, l'ammore aldilà della cognizione reale, ecco, un aggettivo che mai può esser pronunciato senza tema di aver inflitto un dolore. Qui di reale non c'è niente: di basso e senza senso il vivere dentro la casa, osservati fin nell'intimità, venduta come merce: una prostituzione per qualche lucina d'avanspettacolo della peggior specie e, anche se i soldi sono molti, la reputazione ed il vissuto permangono, non si dimentica niente.
Pinocchio è fuori, in giro a sognare che il suo Paese dei Balocchi resista alla realtà (Reality) mentre il gatto e la volpe vanno in cerca di altri sciocchi con in testa qualche pelo d'asino e orecchie già troppo lunghe.