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Reate Festival. Un giorno di regno per un cast giovane
L’edizione 2013 del Reate Festival si è concluso domenica 10 novembre 2013 al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti con l’esecuzione di Un giorno di regno di Giuseppe Verdi, in omaggio al bicentenario della nascita del grande compositore.
Un' edizione nel segno dei giovani per il cast composto da giovani interpreti e per la collaborazione del Festival con il Liceo Musicale appena istituito e voluto dalla Fondazione Flavio Vespasiano. Gli studenti hanno seguito un percorso di conoscenza e approfondimento delle due opere presentate: Anna Bolena e Un giorno di regno, interagendo con gli artisti e gli operatori e avendo una diretta esperienza sulla messa in scena. Sono state pensate anche forme di agevolazione per seguire gli spettacoli del Festival.
Tornando a Un giorno di regno, è la seconda opera composta da Verdi che a causa di una ingenerosa valutazione critica è stata raramente rappresentata. La morte prima dei due figli ancora piccoli ed in seguito della moglie avvolse di un'aura sinistra questa opera, anche per colpa di Verdi, che in seguito, sostenne che l'insuccesso fu dovuto al suo stato d'animo che gli aveva impedito di scrivere un'opera buffa. In realtà le cause sono da addebitare all'impresario per la scelta infelice del libretto, che già aveva avuto precedentemente un esito infausto, il cast non all'altezza e il poco tempo che Verdi ebbe a disposizione per comporla.
Un giorno di regno ossia Il finto Stanislao, melodramma giocoso su libretto di Felice Romani, tratto da Le faux Stanislas di Alexandre Pineux-Duval, andò in scena alla Scala di Milano il 5 settembre 1840 e fu un fiasco clamoroso, ebbe una sola recita e fu sostituita dalla prima opera di Verdi, l'Oberto conte di San Bonifacio. Successivamente l'opera ebbe successo a Venezia (1845), Roma (1846) e Napoli (1859). Il libretto si basa su un fatto realmente accaduto, legato alle vicende di Stanislao Lezczynski, che nel 1733 attraversò in incognito la Polonia per poi rivelarsi e diventare re.
Il protagonista, il cavaliere di Belfiore, si finge re, su ordine reale, per sviare i sospetti sul ritorno in incognito del sovrano e si fa ospitare dal barone di Kelbar. Le circostanze e la sua astuzia gli consentiranno di favorire il matrimonio suo e con la marchesa del Poggio, nipote del barone, e quello di Giulietta, figlia di Kelbar con Edoardo. Un giorno di regno è ingiustamente sottovalutata in quanto, nonostante le innegabili influenze, provenienti da Rossini e Donizetti, non solo quello buffo ma anche quello serio, emergono già evidenti le caratteristiche musicali e drammaturgiche che Verdi poi svilupperà nelle successive partiture.
La sinfonia è breve e brillante e l'opera si svolge con una prevalenza numerica dei pezzi di insieme sulle arie, che imprimono ritmo alla vicenda. Se il duetto iniziale tra il barone e il tesoriere ricorda il Donizetti de L'elisir d'amore, nel duetto tra Belfiore, baritono con caratteristiche già tipicamente verdiane ed Edoardo (tenore) 'Proverò che degno io sono' del primo atto, c'è quell'irruenza tipica del periodo giovanile, così pure nel terzetto Giulietta (mezzosoprano), Edoardo e la marchesa 'Bella speranza invero', troviamo tutta la forza espressiva e l'impeto delle opere successive.
Il Verdi in fieri affiora anche nella vocalità del tenore con l'aria e la cabaletta del secondo atto, in cui nella cadenza c'è un raro Do scritto dal musicista, un tributo al Bel Canto, ma con la tensione e l'irruenza del giovane Verdi. Anche le agilità di forza e la personalità battagliera della marchesa del Poggio (soprano), anticipano le caratteristiche di Abigaille del successivo Nabucco e delle eroine del primo periodo verdiano. Nella schermaglia amorosa tra Belfiore e la marchesa si manifesta quell'attenzione ad una vocalità che si adatti al dialogo e così pure nel ben congegnato quintetto in cui Belfiore, il barone e il tesoriere discutono di strategia militare mentre Giulietta ed Edoardo parlano del loro amore.
Verdi non scrisse più opere buffe fino al Falstaff ma la sua ironia non nasce con l'ultima opera ma è già presente, come nel duetto tra il barone e il tesoriere del primo atto 'Diletto genero a voi ne vengo', mentre nel sestetto che chiude l'atto primo 'In qual punto il re ci ha colto', la parte del concertato che conclude l'atto in una sezione anticipa la tensione e la veemenza drammatica dell'Ernani.
L'esecuzione, a causa dei ben noti problemi di finanziamento che flagellano le istituzioni musicali, è stata in forma semiscenica. Cesare Scarton, che l'ha curata è riuscito a imprimere un ritmo brioso e divertente con trovate molto riuscite. I due bassi buffi a cui son affidate le scene comiche più impegnative sono stati all'altezza della situazione vocalmente e scenicamente, Simone Alberti è stato il Barone di Kelbar mentre la parte del Signor La Rocca, Tesoriere è stata sostenuta Dario Ciotoli, dotato di una efficace disinvoltura scenica e vocale.
Mikheil Kiria ha interpretato con sicurezza il ruolo del Cavalere di Belfiore, la sua voce potente e sicura è adatta ai ruoli del tipico baritono verdiano. Alice Quintavalla, che ha sostituito Marialucia Caruso ammalatasi, è stata una convincente marchesa del Poggio, ha una voce morbida e piena ed sicura nell'emissione. Bene anche Angela Nisi una convincente e spiritosa Giulietta di Kelbar e Marco Frusoni nel ruolo di Edoardo di Sanval;, hanno completato il cast, Roberto Jachini Virgili, come Conte di Ivrea, e Marco Miglietta, come Delmonte. Il Belcanto Chorus ben preparato da Martino Faggiani ha fornito una buona prova e cosi l'orchestra Roma Sinfonietta, la direzione di Gabriele Bonolis ci è parsa priva della brillantezza e della vivacità necessarie.