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Il restauro de I quattrocento colpi. La ricerca della libertà di Antoine
Affinchè ci sia un progresso, spesso è necessario voltarsi indietro e riscoprire le tracce del nostro passato. Così fa anche il cinema di oggi: se da un lato, talvolta, sceglie di eleggere la propria archeologia a soggetto di nuovi film, dall'altro riporta sullo schermo, in veste restaurata, per spettatori nuovi e per quelli appassionati, piccole perle di grande significato storico-artistico.
In seguito ai restauri, realizzati e distribuiti a livello nazionale dai laboratori della Cineteca di Bologna, di alcune celebri pellicole del maestro della suspence, Alfred Hitchcock, quali “Dial M for a Murder” e “Vertigo”, recentemente è stata la volta del più noto dei film di François Truffaut, “I quattrocento colpi” (Les quatre cents coups), vincitore del Premio per la Miglior regia al Festival di Cannes dello stesso anno.
Si tratta di uno dei film più emblematici della Nouvelle Vague francese, un movimento che fu davvero una “nuova ondata” per il cinema degli anni '50-'60: i suoi esponenti, infatti, si indirizzarono verso la modernità non solo dal punto di vista delle tematiche e del modo di raccontarle – prendendo ad illustre esempio la lezione del Neorealismo italiano – ma anche da quello tecnico e stilistico, sulla base di una cinefilia e di un'attenzione critica dimostrata nelle pagine dei «Cahiers du cinéma».
Truffaut, attento spettatore e critico, cinefilo e grande estimatore degli autori neorealisti, è interessato a rendere l'occhio del cinema uno strumento per mostrare la realtà, nei suoi aspetti più semplici ma senza tacerne quelli problematici, soprattutto dal punto di vista emotivo, raccontando tali approfondimenti sul quotidiano mediante un nuovo modo di filmare, svincolato dagli stilemi classici, grazie anche a nuove macchine da presa più piccole e leggere.
La trama del film è nota: la vicenda si svolge a Parigi e il protagonista è un adolescente di nome Antoine Doinel (interpretato da Jean-Pierre Léaud), uno dei numerosi alunni presenti in una classe nella prima sequenza ed è quasi casualmente che la macchina da presa si sofferma su questo ragazzino refrattario ad una rigida istituzione scolastica. Antoine diventerà l'assoluto protagonista della storia che, con un andamento dolce e malinconico, verterà sulla sua vita quotidiana, fatta di un difficile rapporto con i genitori, che non lo ascoltano, e un ambiente scolastico rigido, da cui consegue un atteggiamento indolente, indisciplinato e ribelle.
Una mattina Antoine decide di marinare la scuola con il suo amico René, ma quando la bugia detta a scuola viene smascherata e il Preside avverte la famiglia, il ragazzino scappa di casa; vi rientra e viene perdonato, finché un tentativo di furto – poi fallito – spingerà i genitori a spedirlo in riformatorio, dove è destinato ad incontrare un ambiente ancor più freddo, indifferente e severo.
Ne uscirà solo con una nuova fuga, attraverso quella nota corsa lunghissima – ripresa attraverso un unico piano-sequenza – emblematica del senso di libertà che Antoine andava cercando e che sarà simboleggiata dal mare; quella libertà purificatrice che il giovane Edmund nella “Germania anno zero” di Rossellini non ha potuto trovare undici anni prima in un paese distrutto moralmente e fisicamente dalla guerra.
La ribellione di Antoine Doinel verso le gerarchie sociali e familiari, il suo interesse per la letteratura – espresso da un'appassionata lettura di Balzac – e per il cinema – luogo dove, non a caso, passa l'unica serata serena con i genitori – esprimono quelle sensazioni provate dallo stesso Truffaut sia sul piano autobiografico sia su quello professionale.
Da un lato, l'infanzia del regista, secondo le notizie biografiche, appare segnata dalle stesse tonalità grigie e dalle esperienze che contrassegnano quella del piccolo Antoine, rendendo il personaggio un vero e proprio alter ego, a cui dedicherà altri film che ne raccontano la crescita e l'età adulta. Dall'altro, allo stesso modo, a livello professionale, Truffaut si inserisce nella scia di modernità sulle orme già tracciate dal neorealismo, di cui riprende molte tematiche, tra le quali il condizionamento del contesto sociale sulla delinquenza giovanile, considerata l'unica via di uscita da una realtà opprimente e densa di incertezze.
Il cinema, dunque, si fa interprete della realtà e delle emozioni in presa diretta, mediante un uso più libero della macchina da presa, come esemplifica già la sequenza iniziale dei titoli di apertura con una serie di riprese in continuità della città di Parigi, mostrata in modo non convenzionale e dal punto di vista del suo giovane protagonista, sulla cui prospettiva è costruita l'intera pellicola. Ecco che quest'ultima risulta, un inno, attraverso il mezzo cinematografico, alla libertà.