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Il restauro di Amarcord. Tempo della storia e tempo immaginato
È tornato nelle sale cinematografiche, a seguito dell'anteprima mondiale all'ultima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia e dopo oltre quarant'anni dalla sua prima proiezione pubblica, il celeberrimo Amarcord di Federico Fellini, in una nuova versione restaurata, a cura dei laboratori della Cineteca di Bologna, con il sostegno di yoox.com e il contributo del comune di Rimini, in collaborazione con Cristaldifilm e Warner Bros. La proiezione del nuovo restauro della pellicola felliniana viene preceduta da un montaggio di provini, scene tagliate e doppie di Amarcord realizzato per l'occasione da Giuseppe Tornatore.
Il film di Fellini, datato 1973 – quindi realizzato dieci anni dopo il capolavoro 8 ½ – e basato su soggetto e sceneggiatura dello stesso Fellini e di Tonino Guerra, ha ricevuto due anni dopo l'Oscar come Miglior film straniero e numerosi riconoscimenti successivi, tra cui diversi Golden Globe, David di Donatello e Nastri d'Argento tra il 1974 e il 1975.
Com'è noto, già il titolo del film ha dato vita alla prima delle numerose icone visive e linguistiche legate alla pellicola ma rimaste nell'uso comune, poiché “amarcord” altro non è che una contrazione dell'espressione romagnola “a m'arcord”, ovvero “io mi ricordo”.
Si tratta di una scelta non casuale in quanto la vicenda raccontata da Fellini, caratterizzata da diversi riscontri autobiografici, si ambienta in una Rimini degli anni trenta, ricostruita a Cinecittà tra riferimenti verosimili e suggestioni oniriche. Proprio nella città romagnola lo stesso regista aveva vissuto l'infanzia e la giovinezza, manifestando fin da ragazzo una particolare dote per il disegno, soprattutto nella realizzazione di caricature: una disposizione che diventerà caratteristica distintiva delle sue pellicole, in cui emerge una realtà quasi surreale con figure grottesche e dai tratti esasperati.
Si tratta di un film difficile da riassumere sul piano della trama, a causa dei molteplici fil rouge interni alla vicenda, che scandiscono singoli momenti della storia e che legano tra loro le numerose figure in scena. Le avventure e le disavventure di queste ultime nel variegato microcosmo del borgo, osservato nell'arco di un anno dalla primavera del '32 a quella del '33, vengono presentate per i diversi legami con il personaggio di “Titta” Biondi, un ragazzo che frequenta il liceo del paese, della sua famiglia e del suo gruppo di amici.
L'istruzione scolastica, le figure caricaturali ed emblematiche del borgo, le ricorrenze paesane, i tempi e i luoghi di ritrovo della socialità condivisa, vengono rappresentate filtrate dal punto di vista del personaggio centrale – e, talvolta, anche di quello dei suoi amici – che, come tutti i suoi coetanei, si nutre di sogni e speranze, nella delicata fase adolescenziale in cui si manifesta l'interesse per l'altro sesso e il desiderio di ribellione rispetto ai rigidi freni educativi dell'epoca. Persino la visita di Mussolini a Rimini, con la relativa parata militare in camicia nera seguita dalle prove atletiche giovanili, diventa occasione per il sogno ad occhi aperti di uno degli amici di Titta, che di fronte all'imponente immagine del volto del dittatore vagheggia nella propria fantasia di chiedere la mano alla compagna di scuola di cui è innamorato.
La figura, tuttavia, verso la quale si condensa l'attrazione del gruppo di ragazzi, che appare allo stesso tempo una delle icone fondanti della città, è sicuramente la Gradisca, sul cui soprannome è l'avvocato del luogo a dare notizie direttamente allo spettatore: a tal proposito, appare altrettanto interessante proprio quest'ultimo personaggio che, con modi saccenti, interviene quasi come un osservatore esterno in alcuni momenti della vicenda con funzione esplicativa e descrittiva della storia e della realtà del borgo, dei suoi abitanti, delle sue leggende e dei fatti principali che lo riguardano. Si tratta di episodi in cui la fantasia e l'impressione popolare si fondono con fatti storici e verosimili mentre, allo stesso tempo, Fellini gioca con lo spettatore, infrangendo l'impressione di realtà della narrazione filmica mediante la momentanea interruzione della diegesi.
Questa straordinaria pellicola felliniana colpisce ancora oggi ogni tipo di spettatore, facendolo immergere nel suo universo carnevalesco, denso di immagini evocative ed altre diventate ormai iconiche, popolato da maschere che appaiono tanto veritiere, seppur esasperate, quanto inscindibilmente legate al tempo in cui sono collocate. Ed è proprio la dimensione temporale del film che appare alterata poiché intima, sbilanciata sul punto di vista dei personaggi centrali, soprattutto i ragazzi, come “Titta”. La sua fase adolescenziale, nell'arco dell'anno in cui si ambienta il film, appare come un rito di passaggio costellato di eventi, emozioni e visioni, che termina proprio con il ritorno della primavera successiva e, allo stesso tempo, con il finale ciclico della narrazione filmica scandita per stagioni. Il nuovo arrivo della primavera, con la riapparizione delle “manine” volteggianti nel cielo sopra il borgo, sembra infatti strettamente legato con l'inizio della maturità per il gruppo di giovani protagonisti, che vedono concludersi alcuni dei loro sogni adolescenziali, fra cui quello erotico rappresentato dalla Gradisca in coincidenza dei festeggiamenti per il suo matrimonio.
La percezione finale di questo microcosmo ricreato dal regista – nonostante i diversi cambiamenti e movimenti che nel segno positivo o negativo da sempre costituiscono la molla per agire e per favorire la crescita – rimane unica e immutata nella sua dimensione evocativa e onirica, talvolta grottesca ma pur sempre affascinante per la felliniana ibridazione tra realtà storica, verosimile e immaginata.