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Il Rigoletto a Jesi. La morale ipocrita dei potenti
A Jesi, il 25 novembre 2011 (repliche il 26 e 27), al Teatro Pergolesi con il Rigoletto di Giuseppe Verdi si è conclusa, tra gli scroscianti applausi del pubblico, la 44° stagione lirica, organizzata dalla Fondazione Pergolesi Spontini.
Si conclude così la cosiddetta trilogia popolare percorsa a ritroso nelle stagioni precedenti da La Traviata (6 marzo 1853) del 2009, poi Il Trovatore (19 Gennaio 1853) del 2010 per giungere al Rigoletto (11 marzo 1851) del 2011. Tornando al Rigoletto, Verdi rimase profondamente colpito da Le Roi s’amuse (Il re si diverte) di Victor Hugo, di cui aveva già messo in musica l'Hernani.
Una scelta che evidenzia l'attenzione del musicista per un teatro, a lui contemporaneo, che poneva temi scabrosi, in questo caso nella scelta come protagonista di un diverso, a causa della deformità, che suscita ripugnanza e dileggio, a cui non viene riconosciuta una dimensione umana, cosa che al di là dell'ipocrisia persiste anche oggi. Nella cosiddetta trilogia popolare tra i personaggi oltre a Rigoletto, deforme, ci sono Azucena, una zingara, e Violetta, una escort dell'epoca, tutti emarginati e condannati dalla morale ipocrita che invece perdona, oggi come allora, l'amoralità dei potenti.
Le Roi s’amuse è un testo in cui rifulge la straordinaria abilità del grande drammaturgo francese nel creare personaggi di grande spessore psicologico e mirabilmente descritti nel loro agire. È un dramma fosco in cui Triboulet diventato poi Rigoletto, costretto dalla sua deformità fisica, la gobba, ad essere un buffone, riscatta con il suo amore di padre, che lo rende profondamente umano, la sua abiezione morale, che lo porta non solo ad assecondare ma anche ad istigare il comportamento dissoluto e amorale del suo padrone, il re di Francia Francesco I.
Verdi propose a Francesco Maria Piave di scrivere, con la raccomandazione di seguire l'azione del dramma, il libretto che, come il testo teatrale proibito in tutta la Francia dopo la prima nel 1832, ebbe molti problemi con la censura. Dopo febbrili trattative con le autorità austriache si arrivò ad un compromesso con la trasformazione di Francesco I nel duca di Mantova, città in cui è spostata l'azione, in modo da evitare di portare in scena un progetto di regicidio, anche se fallito, e la soppressione della scena più scabrosa tra Francesco I e la figlia di Triboulet per superare le obiezioni di immoralità del soggetto.
Dopo un breve preludio in cui domina cupo il tema della maledizione, in stridente contrasto musicale, la scena si apre nella corte dissoluta del duca di Mantova, evidenziata dalla musica che affidata alla banda, ha un tono leggero da opera buffa a sottolineare la superficialità e il vuoto morale dei cortigiani. Massimo Gasparon, che ha curato la regia, le scene, le luci ed i costumi, si è ispirato alla Venezia immortalata da Tiepolo evocato nei dipinti sul fondo della scena e nella fantasmagoria dei colori dei bei costumi dei cortigiani mentre Rigoletto è vestito da Pulcinella. “L’atmosfera tiepolesca e veneziana rievoca il fasto veneziano del Gran Teatro la Fenice di Venezia, dove l’opera andò in scena per la prima volta nel 1851” spiega Gasparon. “Già nel XVIII secolo il Tiepolo rappresentò i suoi famosi “Pulcinelli acrobati”.
Durante una festa arriva Monterone che chiede giustizia per la figlia sedotta dal duca, e, sbeffeggiato, da Rigoletto, lo maledice. La seconda parte dell'atto si svolge nel vicolo in cui avviene l'incontro tra Rigoletto e Sparafucile, all'interno della casa di Rigoletto e infine in entrambi gli ambienti nella scena del rapimento di Gilda. La scena, seguendo le indicazioni registiche di Verdi è divisa in due; la soluzione adottata da Gasparon è bella e perfettamente funzionale: un palcoscenico girevole che mostra questi diversi ambienti .
In Rigoletto Verdi, il cui talento musicale non può essere disgiunto da quello di drammaturgo, usa le forme consuete del recitativo, aria e cabaletta in modo del tutto nuovo, tanto da rendere queste forme musicali più teatrali e aderenti al testo drammatico. Un esempio pregnante è proprio in questa parte Rigoletto ossessionato dalla maledizione incontra Sparafucile, sicario di professione, che offre i suoi servigi, rimasto solo, canta Pari siamo!, sarebbe un recitativo ma ha il peso di un'aria per sottolineare il contenuto del testo, in cui il lamento per la sua condizione di buffone è seguito dall'invettiva contro i cortigiani e il suo padrone per tornare all'angoscia per la maledizione.
A questo scopo il musicista sfrutta tutte le caratteristiche espressive del baritono per evidenziare in maniera particolare le sfumature della sua psicologia. Nei successivi duetti Rigoletto e Gilda e poi di quest'ultima con il duca, che è entrato di nascosto, dopo aver corrotto Giovanna la custode, Verdi delinea magistralmente i personaggi, in particolare il protagonista che mostra la sua parte umana nell'amore che ha per la figlia. Innovativa è anche la chiusura dell'atto che invece del consueto concertato propone Rigoletto che accortosi di essere stato ingannato dai cortigiani e che la figlia è stata rapita esclama Ah!...la maledizione per poi svenire in un finale drammatico e incisivo nella sua concisione.
Il secondo atto è imperniato sulla scena in cui Rigoletto cerca la figlia nel palazzo del duca, prima falsamente indifferente, poi dopo che ha capito dov'è, prorompe nella furibonda invettiva Cortigiani vil razza dannata per poi supplicare piangendo Ebben, piango, Marullo …..signore. La forma musicale anche in questo caso aderisce al testo in modo di evidenziare gli stati d'animo, l'invettiva non è una cabaletta ma un'aria e così la supplica in cui l'accompagnamento è affidato al solo violoncello, mentre il corno inglese raddoppia la voce, una soluzione che esalta l'angoscia del protagonista.
L'atto si chiude, dopo l'incontro con Gilda che narra al padre l'accaduto, con la seconda apparizione di Monterone e la cabaletta a due Si vendetta tremenda vendetta, di grande effetto drammatico. L'ultimo atto è ambientato sulla riva del Mincio con la scena ancora divisa in due tra l'interno della taverna e l'esterno; il mirabile quartetto ci narra del duca che corteggia Maddalena, che lo ha attirato fin là e Rigoletto che fa vedere la scena alla figlia, nel tentativo di farle dimenticare il duca, seguito poi dagli accordi con Sparafucile che si impegna ad assassinare il duca. Poi Maddalena ottiene dal fratello di uccidere il primo che entrerà e Gilda, ritornata sui suoi passi si offre come vittima. Rigoletto, a cui viene consegnato il corpo in un sacco, si accorge che è quello della figlia morente e le sue ultime parole di disperazione sono Ah la maledizione!
Simone Piazzola ha interpretato Rigoletto in modo molto efficace e convincente, ha un bel timbro e una voce morbida, corposa e duttile, unita ad una buona tecnica che gli ha permesso di superare agevolmente tutti i problemi di questo difficile ruolo. Irina Dubrovskaya, Gilda e Shalva Mukeria, il duca, sono giovani promettenti che però devono ancora maturare; di buon livello il resto della compagnia in cui spicca lo Sparafucile di Eugeniy Stanimirov che si è ben disimpegnato nel ruolo. L'Orchestra Filarmonica Marchigiana e il Coro Lirico Marchigiano "V. Bellini" sono stati diretti da Giampaolo Maria Bisanti che ha ben interpretato la partitura; tutti sono stati lungamente applauditi.