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Roma Cinema Fest. Thomas Quick. Aldilà di ogni ragionevole dubbio
Il documentario di Brian Hill sul caso Sture Bergwall, The Confessions of Thomas Quick, presentato in Selezione Ufficiale alla X° edizione della Festa del Cinema di Roma, racconta di come è stato possibile tramutare le confessioni di un piccolo criminale drogato e disturbato come Sture Bergwall, in prove circostanziali che lo hanno fatto condannare tra 1994 e 2001 per otto omicidi. Durane il periodo delle confessioni, Bergwall, prese il nome di Thomas Quick, il cognome da nubile della madre.
Guardando il documentario di Brian Hill, che colleziona parecchie interviste tranne delle terapiste e degli agenti di polizia – anche alcuni giudici – che hanno fornito le prove, ovvero le confessioni di Bergwall/Quick, si rimane piuttosto sconcertati.
L’enorme peso che fu dato alle sue confessioni in sede di giudizio, provenienti dalle psicoterapie effettuate con Birgitta Stahle, che faceva parte del gruppo di Margit Norell (1914-2005) – collaboratrice anche di Eric Fromm – ma anche da interrogatori di polizia, e che gli fecero trascorrere 23 anni nel manicomio criminale di Säter, pone in primo piano la questione della giustizia svedese che ha condannato Bergwall sulla scia di prove circostanziali senza nessuna prova forense, lo abbiamo chiesto al regista in conferenza stampa: “E' stato un vero scandalo, erano coinvolti sia psichiatri sia polizia: si generò un vero crollo del sistema. Il gruppo di terapisti che avrebbe dovuto garantire l'inoppugnabilità delle confessioni, aiutò Quick a crearle, con l'uso massiccio di benzodiazepine, ed i privilegi che gli accordavano, spingendo Quick a confessore più di 30 omicidi efferati di persone – soprattutto donne – scomparse durante due decenni. Quick confessò infatti di fare tutto quello che i terapisti gli chiedevano: finalmente quell'uomo solo e disturbato, non amato, riceveva le attenzioni tanto agognate."
Nel 2008 Hannes Råstam, giornalista svedese, in tandem con la sua assistente giornalista anche lei, Jenny Küttim, decisero di riesaminare il caso perché avevano dei dubbi su come si fosse arrivati a condannarlo per tutta quella mole di omicidi, e riesaminando le 50.000 pagine del caso, rilevarono che non c'era mai stata nessuna prova forense (come DNA sul cadavere, mai ritrovato nessuno di essi, arma del delitto, etc.) che potesse senza alcuna dubbio ricondurre a lui direttamente e con inoppugnabilità ad uno solo degli otto omicidi per cui fu condannato all'ergastolo nel manicomio crminale di Säter.
A questo punto Hannes Råstam decide di intervistarlo e Bergwall, che finalmente aveva ripreso il suo vero nome, confessò la verità, ovvero che si era inventato tutto e cambiò avvocato, affidandosi stavolta a Thomas Olsson, che compare nel documentario e che fece cancellare tutte le sentenze che lo riguardavano come serial killer. Da qui nasce il libro di Hannes Råstam, Thomas Quick: the Making of a Serial Killer ed il più recente libro di Dan Josefsson, The Strange Cse of Thomas Quick. Rimane impressionante il documentario di Brian Hill per come è acutamente costruito e pervicacemente propone una lettura cronologica e critica di quelolo che può ingenerare la stessa “cura”, l'ossessione per la ricerca di un colpevole, aldilà di ogni ragionevole dubbio.