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Roma Cinema Fest X. Isolamento e solitudo tra urbe e stelle
In cinque film visti sinora in Selezione Ufficiale l'isolamento e la solitudo sembrano caratterizzare i contenuti dei film: dal giapponese indipendente e poetico di The Whispering Star, di Sion Sono; all'irlando-canadese Room di Lenny Abrahamson, che rievoca il caso austriaco della prigionia Fritzl; al documentario sulla famiglia Angulo a New York di The Wolfpack, quest'ultimo per Alice nella Città; fino al documentario su Thomas Quick, di Brian Hill; ed ancora Distancias Cortas, con il caso patetico e umano raccontato dal regista messicano Alejandro Guzmàn Alvarez. Appronfondiamo qui i primi tre. La Festa del Cinema di Roma dal 16 al 24 ottobre sta compiendo un percorso valido a livello di indagine dei contenuti, con questi film tutti raffinati e approfonditi.
La stella "sussurrante" di The Whispering Star di Sono, già premiato con il NETPAC al Toronto Film Festival è un film per palati sopraffini: lento e ciclico, ricorda tanto Tarkowskij e la sua attenzione per i particolari e la memoria come ente ordinatore e dinamico. In uno scenario apocalittico la “postina” dello spazio Yoko Suzuki consegna pacchi nelle galassie limitrofe su una nave arredata fuori e dentro come negli anni '50, nonostante si sia in un non precisato tempo futuro in cui tutto è stato spazzato via da un disastro nucleare – il riferimento a Fukushima è chiaro sia dalla dedica del regista sia dalle immagini che ritraggono paesaggi disastrati – ed in cui i pochi umani rimasti attendono anni per ricevere pacchi da loro parenti, o amanti. Dal Pianeta Urz fino al Parass Zero, osserveremo gli sbarchi particolari di Sukuzi che si ritrova a viaggiare con un romantico computer di bordo che cambia rotta ipnotizzato dalle farfalle del lampadario. Delle splendide visioni che ci fanno inoltrare tra spazi immaginari come la casa antica e nostalgica dove abitano un bambino ed un vecchio con dei grossi lampadari rilucenti nel buio sottile, cui questi regali - pacchi che apportano e sono emettitori di emozioni dimenticate. Ad un passo da Borges e dalle stelle delle nebulose fantasma.
Room di Lenny Abrahamson invece tratta di una prigionia ripresa dalla cronaca: una ragazza di 17 anni viene rapita da un uomo, violentata ripetutamente e segregata in un capanno con un lucernario nel soffitto. Negli anni di prigionia dà alla luce un figlio, Jack, che decide di far scappare per liberare lui e lei dai 9 mq in cui vivono. L'attrice Brie Larson è bravissima ad interpretare questa parte difficile insieme al piccolo Jacob Tremblay che, come nel caso Fritzl, dovrà riadattarsi alla luce, al mondo, alla vita reale. Emma Donoghue, autrice della sceneggiatura, quando ha scritto il libro dal quale è tratto il soggetto del film, si è ispirata in parte, dal caso della figlia di Josef Fritzl, rinchiusa per 24 anni nella cantina di famiglia, violentata dal padre dal quale ha avuto sette figli (è stata rinchiusa nel 1984 e liberata nel 2008 perché la figlia Kerstin è stata portata all'ospedale; nel 1996 il figlio Michael era morto a causa della mancata assistenza medica). Di Room, aldilà della pregnante interpretazione sia della madre, nel film sempre chiamata Mà, ovvero Brie Larson; sia del piccolo Jacob Tremblay, che è l'unico ad avere un nome dentro la “Stanza” (Room, appunto), colpiscono i dialoghi che mettono in luce quella solitudo dal mondo esterno che invalida la realtà di fuori agli occhi del bambino, la sua vita può essere solo nella Stanza con Mà, e nemmeno le foglie vengono riconosciute come tali per chi non ha mai veduto un albero. Un Altro Mondo, e alieno quello esterno, al quale dovrà essere abituato lui, nato nella Stanza, dove vorrà anche tornare per terminare con una frase che riassume tutto il senso della prigionia: “Non può essere Stanza perché la porta è aperta”.
La famiglia Angulo di The Wolfpack, per Alice nela Città, è un documentario opera prima di Crystal Moselle, che ha scoperto per caso questa famiglia con sette figli, tutti gemelli, i cui nomi provengono tutti da dei indiani, come le origini del padre, rinchiusi in un appartamento nella zona sud-est di Manhattan. Mukunda, Narayana, Govinda, Bhagavan, Krisna (Glenn), Jagadesh (Eddie), e la loro sorella Visnu, non oseranno uscire da questa casa dove giocano a replicare film di serie B come Le Iene (Reservoir Dogs, 1992 di Quentino Tarantino) che hanno raggiunto lo stato di cult. Mukunda a 15 anni però scappa travestito da Micheal Meyers nel 2010, e verrà riportato a casa dalla polizia. Padre e madre, che erano hippy da giovani, hanno sviluppato un senso iperprotezione verso i figli verso la società, e di paura per la società nella quale vivono, in particolare la zona in cui abitano di New York (in realtà Manhattan non è affatto tranquilla come si potrebbe credere e varia da strada a strada, New York rimane una città effettivamente pericolosa anche nelle sue zone centrali, non c'è dubbio), arrivando però ad un eccesso che fa dire al padre: “La prigione è fuori di qui”. Il film è quindi interessante perché ritrae questo strano coagulato di due genitori che vogliono sicuramente bene ai loro figli ma chiaramente li estromettono dalla socialità, se non nel loro gruppo ristretto.
Il documentario per il suo innegabile fascino nella sua étrangeté, è stato premiato col Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival.